Paradosso Pasolini: parla ai giovani
ma la Scuola lo esclude dai programmi

Paradosso Pasolini: parla ai giovani ma la Scuola lo esclude dai programmi
di Rossano ASTREMO
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Lunedì 5 Novembre 2018, 22:14 - Ultimo aggiornamento: 22:21
SOno trascorsi 43 anni dalla scomparsa di Pier Paolo Pasolini, intellettuale profetico, scandaloso, idolatrato, geniale, sopravvalutato, unico, perverso, perduto. Ognuno di noi ha una propria idea su ciò che la presenza di Pasolini ha significato per se stesso e per il nostro Paese nello scorso secolo. Alberto Moravia il 5 novembre del 1975, nell'orazione funebre dei funerali di Pasolini dichiarò: Qualsiasi società sarebbe stata contenta di avere Pasolini tra le sue file. Abbiamo perso prima di tutto un poeta. E poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo. Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeti. Il poeta dovrebbe essere sacro. Al di là del concetto di sacralità del poeta, che suona alquanto fuori dal tempo, ciò che è vero è che Pasolini continua a significare nel tempo presente e lo dimostra il fatto che nella giornata dello scorso 2 novembre, anniversario della sua morte, le pagine Facebook di migliaia di utenti italiani si sono riempite di immagini che raffigurano lo scrittore e citazioni tratte da sue opere o interviste. Inoltre, questa riduzione di Pasolini a meme si affianca alla trasfigurazione di Pasolini a icona. Molti street artist italiani raffigurano il poeta di Casarsa sulle mura di molte strutture abbandonate del nostro Paese. Ciò che suona strano e per alcuni versi paradossale è che l'opera di Pasolini venga quasi del tutto ignorata dalla scuola pubblica italiana. Senza voler affondare le mani nell'annosa questione dei Programmi Ministeriali che sempre poco spazio donano allo studio del Novecento letterario italiano, l'elemento paradossale di cui parlavo poco fa è dettato dalla convinzione che nel corso della letteratura italiana dell'ultimo secolo nessun autore come Pasolini ha parlato di giovani e ai giovani, nessun intellettuale come l'autore di Ragazzi di vita ha considerato il racconto e la riflessione sull'identità giovanile come elementi fondanti della sua poetica. Pensate a Ragazzi di vita, il romanzo d'esordio del 1955, in cui un Pasolini da poco trasferitosi a Roma, racconta con forte spirito documentaristico la quotidianità di un gruppo di ragazzi delle periferie romane, nell'immediato secondo dopoguerra; o pensate ancora a molti testi poetici, tra cui Un ragazzo in cui Pasolini dedica versi pieni di ammirazione per un giovane Bernardo Bertolucci, figlio all'epoca poco più che adolescente dell'amico Attilio Bertolucci, che spesso assisteva desideroso di imparare e sapere alle conversazioni degli adulti (Vuoi sapere. Non hai domanda su un oggetto / su cui non c'è risposa: che trema solo in petto); pensate al Pasolini degli anni '60 che, nell'analisi del cambiamento in atto della società italiana, riusciva sempre a cogliere sfumature interpretative originali e spiazzanti. Come nella poesia apparsa sul settimanale L'Espresso il 16 giugno del 1968, Il Pci ai giovani, nella quale, commentando gli scontri tra studenti e polizia accaduti presso la Facoltà di Architettura di Roma, a Valle Giulia, Pasolini, uomo ontologicamente di sinistra, rivolgendosi direttamente agli studenti, si schiera coi poliziotti (Avete facce di figli di papà. / Buona razza non mente. / Avete lo stesso occhio cattivo. / Siete pavidi, incerti, disperati / (benissimo!) ma sapete anche come essere / prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati: / prerogative piccole borghesi, cari () / Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti / io simpatizzavo coi poliziotti / perché i poliziotti sono figli di poveri); o pensate, infine, ad un articolo del 1973 Contro i capelli lunghi, apparso sul Corriere della Sera, poi raccolto in un suo libro culto, Scritti Corsari. In questo articolo, Pasolini racconta che portare i capelli lunghi prima del 1968 aveva un significato politico, era espressione di un pensiero di sinistra; dopo il 1968 anche ragazzi di destra iniziarono a portare i capelli lunghi. Quindi da codice espressivo di una sottocultura ideologizzata, l'atto di crescersi i capelli lunghi divenne mainstream, alla moda. Negli ultimi anni della sua vita, in più di un'occasione, Pasolini non fu scevro da giudizi negativi nei confronti dei giovani. Ciò che non amava era il loro omologarsi, il divenire schiavi della civiltà dei consumi, il perdere di vista una visione profonda e problematica della vita a favore di un appiattimento generalizzato delle idee. È un peccato che questo autore complesso, pieno di contraddizioni, ma mai banale, mai superficiale, sia così bistrattato dalla scuola italiana. A volte pare che siano gli stessi insegnanti a non volersi misurare con la sua opera, preferendo autori più addomesticabili, più immediati, il pessimismo di Leopardi, la Provvidenza in Manzoni, i vinti di Verga, il nido di Pascoli, il mal di vivere di Montale. Come sintetizzare Pasolini in una frase? Come semplificare la sua complessità ai nostri adolescenti? Ma è proprio necessario essere semplici con i giovani di oggi? Rispondo a questo interrogativo utilizzando ancora le parole di Pasolini, in un articolo della fine degli anni '40, in cui sintetizza con il suo solito pungente acume la sua visione dell'insegnamento: molti pensano che col ragazzo bisogna comportarsi come chi si muove dall'alto verso il basso, cioè bisogna regredire nel suo mondo, nella facilità del suo mondo. È una vera sciocchezza: col ragazzo bisogna al contrario essere difficili. Difficili in quanto ciò che egli ricerca non è nel suo mondo!.
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