Marzano: «Così ho scoperto che mio nonno era fascista»

Marzano: «Così ho scoperto che mio nonno era fascista»
di Claudia PRESICCE
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Venerdì 3 Dicembre 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 12:27

La brace accesa sotto la cenere, può sempre impazzire e generare nuovi incendi. L’Italia è un Paese costruito sulle braci di un ventennio fascista con il quale non ha mai veramente fatto i conti. E se cominciassimo a farli questi conti ognuno in casa propria, con le proprie famiglie, con i propri nonni o bisnonni fascisti? Lo ha fatto Michela Marzano nel suo ultimo libroStirpe e vergogna”, un’opera storico narrativa.
«Chiariamo che la vergogna da cui parte la storia di questo libro non è legata alla mia famiglia – spiega lei stessa, scrittrice e filosofa – è un sentimento che ho provato da bambina senza sapere perché. È tornato fuori quando mio fratello stava diventando padre tre anni fa: ero felicissima, ma proprio in quei giorni la vita mi avvisava che invece io non avevo più l’età per diventare mamma. Mi sono chiesta quale sentimento mi avesse bloccata, facendomi rimandare troppo la maternità. Era stata la vergogna, cioè la paura di non essere all’altezza, di trasmettere ai figli qualcosa che non andava. Sono andata quindi alla ricerca di qualcosa dentro di me che mi sfuggiva, mi sono interrogata sui miei genitori, sui nostri rapporti e sulla loro famiglia di origine. Ho scoperto così che mio padre, figura sempre enigmatica per me, nel certificato di battesimo del 1936, accanto a Ferruccio, aveva altri nomi tra cui “Benito”. Mi si è aperto davanti agli occhi un mondo sconosciuto: un fascismo in famiglia che mi era stato taciuto».
Vero è pure che la sua generazione in famiglia, in genere, qualche fascista di quegli anni ce l’ha, pur esibendo solo i nonni partigiani con orgoglio. Ma nella sua famiglia non se n’era mai parlato?
«Assolutamente no, sapevo solo che nonno Arturo Marzano era un magistrato monarchico, rimasto fedele al re a cui aveva giurato fedeltà, e dopo la guerra era stato deputato monarchico. Ma era molto più complicato, perché mio nonno era sì fascista come la stragrande maggioranza degli italiani, ma lo era stato sin dalla prima ora. Contribuì alla nascita della sezione romana dei Fasci di combattimento nel maggio del 1919, meno di due mesi dopo piazza San Sepolcro (luogo dell’adunata di Milano del 23 marzo 1919, considerata atto fondativo del Fascismo, ndr). Quando in tutta Italia i fascisti erano meno di 300, lui era già tra quelli. Ho scoperto che ha partecipato alla Marcia su Roma, che è stato il primo Pretore e come tale a Vico del Gargano ha pure condannato una banda di minorenni perché rientrando dai campi cantavano “Bandiera rossa”. La storia ha preso tutt’altra direzione. Perché non me lo avevano detto, perché ancora mio padre continua a non dirlo? La necessità di andare a cercare è nata dall’ambiguità».
Così la ricerca e il libro le hanno restituito parti mancanti di storia familiare che rientrano nella Grande Storia...
«Nel suo fascicolo negli archivi di Roma ho scoperto anche che dopo la guerra mio nonno era stato epurato, lui tra meno di 70 magistrati in tutta la magistratura. Fu pure l’unico a non fare ricorso, non facendo il voltagabbana come tanti altri diventati presto democristiani, o comunisti. Venne reintegrato solo quando ci fu il cosiddetto processo di riappacificazione del Paese».
Il punto è: perché non glielo avevano raccontato?
«Per motivi che rientrano nella Storia di tutti. In Italia c’è stata una sorta di rimozione, i conti con quel passato non li abbiamo mai fatti. Ci si trincera dietro frasi come: “tutti erano fascisti”. E che vuol dire? Che non si sono scandalizzati a presentare il certificato con su scritto “di razza ariana”? Anche in Salento, la mia terra del cuore, dove gli ebrei pare fossero pochi, lo stesso il certificato si presentò. Fare i conti con quel passato significa anche rendersi conto del valore dell’accettazione di leggi ingiuste, ed è importante capire l’errore. Mio nonno nel ’58, quando mio padre aveva 20 anni, ebbe un ictus e rimase per 18 anni su una sedia a rotelle tetraplegico. Mio padre è sempre stato socialista, e non si è posto molte domande su suo padre proprio per la rimozione che a quel tempo ci fu. Ma oggi che ho scoperto questa lunga storia, anche che mio nonno ha aiutato tantissima gente, posso dire di sapere davvero chi è stato Arturo Marzano. Non l’hanno fatto i nostri padri, perché era troppo difficile al loro tempo, ma spetta alla nostra generazione indagare e riparlare di quella pagina di storia terribile che fu il fascismo. Non c’è da andarne fieri di avere aderito al fascismo, e non c’è neanche da nasconderlo, ma quella storia va affrontata…».
Tanti non hanno “pagato” come suo nonno: sono rientrati nella politica italiana da un’altra porta, con la stessa violenza fascista addosso.
«Certo, se mio nonno ebbe una sentenza durissima, tanti che occupavano ruoli più importanti si riciclarono velocemente nella Democrazia Cristiana arrivando a livelli altissimi. Le cose rimosse e non elaborate continuano ad agire dall’interno: tramite la mia storia privata vorrei che ognuno ripensasse alla sua. Il fatto che i no-vax oggi confondano la libertà con il menefreghismo deve farci riflettere: il menefreghismo era il motto dei fascisti. Perché tanta violenza e tanta aggressività in Italia? La radice fascista è rimasta in un “non detto” tra tutti noi».
E va riconosciuta ed estirpata. Del Salento fascista nei documenti della sua ricerca che cosa emerge?
«Parlo di Campi, dove ho il cuore e la casa dei nonni dove vengo spesso e dove vorrei vivere i miei ultimi anni. L’idea di qualche anno fa di intitolare una piazza a Giuseppe Guarino che è stato il podestà della nostra cittadina, genero di Achille Starace, non mi va giù. Mi spiace, ma non credo che si possano rivalutare storie di fascisti, non c’è da esserne fieri. In Salento, e in tutta Italia, abbiamo bisogno di guardarci serenamente in faccia e capire da dove veniamo, riconoscendo la nostra storia degli anni del fascismo, ripensandola senza nasconderci, ma facendoci i conti davvero».
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