Veneziani nel Salento: «Non fu mai compreso e vi spiego perché»

Veneziani nel Salento: «Non fu mai compreso e vi spiego perché»
di Claudia PRESICCE
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Domenica 10 Dicembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 20 Gennaio, 21:44

Quel sessantenne smagrito dall’aria balzana che col suo bastone appuntito si aggira per le vie di Spaccanapoli nel 1730, nasconde l’immensità tra i suoi pensieri. Ma a guardarlo camminare così, dimesso e per niente imponente, nessuno mai lo penserebbe. Nessuno mai direbbe che è una grande mente, un filosofo destinato a segnare un solco luminoso nella cultura dei tempi a venire con la sua visione rivoluzionaria del valore e del senso della Storia. Lui è Giambattista Vico, filosofo, storico napoletano vissuto a cavallo tra ‘600 e ‘700, e a coglierlo tra le strade del suo tempo, nei luoghi che abitò, immergendosi nelle vicende principali della sua esistenza e del suo spirito è il giornalista scrittore Marcello Veneziani. Lo fa attraverso le pagine del libro “Vico dei miracoli. Vita oscura e tormentata del più grande pensatore italiano” (Rizzoli; 240 pagine), una sorta di biografia raccontata e appassionata, nutrita dalle scritture che resero Vico immortale. E lo trascina così fuori da quell’oblio in cui oggi è relegato insieme ad altri grandi pensatori e intellettuali italiani, tra la polvere di poche lezioni scolastiche e di qualche incontro accademico. Il libro sarà presentato oggi a Lecce alle 18.30 nel Palazzo del Vescovo in piazza Duomo, domani alle 10 a Maglie nell’Auditorium del liceo scientifico “Da Vinci” e alle 18.30 in Piazza del Sole a Calimera.

Veneziani, “Vico dei miracoli” è un titolo geniale. Raccontiamo com’è nato questo libro e il suo amore per Vico?

«Il titolo trae spunto da un luogo famoso di Napoli, ma è la metafora per raccontare il ‘miracoloso’ pensiero di Vico e la sua idea della Provvidenza, la mano divina che interviene nella storia. Vico è un’antica passione che mi trasmise mio padre, era un debito che volevo saldare da tempo, dopo aver letto le sue opere e ripercorso i suoi luoghi importanti, da Napoli a Vatolla. Ma è anche il tributo a un autore che considero cruciale, anzi il più grande pensatore italiano, di cui non esisteva una vera biografia».

“La scienza nuova” lei dice “contiene il senso della storia umana”: Vico aveva capito il valore paradigmatico della Storia. Spieghiamo che cosa l’ha colpita particolarmente?

«Vico scrive una storia universale dei popoli e delle nazioni, racconta le origini e il cammino umano, tramite comparazioni di epoche e di civiltà. Mostra le costanti e le variabili e dimostra che la storia non è un cammino verso l’infinito, né un cerchio in cui tutto si ripete come i cicli della natura, ma procede per ritorni e analogie, in un cammino a spirale: ritorni di civiltà e di barbarie, analogie tra epoche, corsi e ricorsi. La storia per Vico è il regno degli uomini che possono conoscerla perché la fanno, a differenza della natura che non è opera loro».

Che cosa va recuperato di questo genio napoletano: qual è la lezione principale di Vico, secondo Veneziani, da ricordare ai giovani?

«Oltre ad aver seminato intuizioni che avrebbero poi dato frutti in culture e ambiti diversi, Vico ci ha lasciato l’eredità di una scienza nuova che è un sapere organico in cui il mito e la filosofia, la storia e la religione, l’arte e la scienza, la lingua e la poesia sono strettamente connesse.

Ogni tentativo di separare questi ambiti, dichiarando morti alcuni, in realtà fa saltare l’intera filiera e acceca la nostra visione del mondo. Se vuoi salvare la scienza saltando tutti gli altri anelli del sapere, alla fine perdi anche il vigore, l’intuizione, la visione che sostanziano la ricerca scientifica. Questo è solo uno tra i motivi di perenne attualità del pensiero vichiano. Per non dire della fantasia creatrice, dei legami tra memoria e immaginazione, gli studi sull’infanzia...».

Lo definisce: “il più grande tra i grandi filosofi d’Italia”. È stato un pensatore rivoluzionario e certamente lungimirante: ma secondo lei perché in Italia tanti filosofi, scienziati e grandi intellettuali sono stati destinati a non godere di grandi successi? Potremmo avvalerci molto di più della nostra storia del pensiero in Italia, invece oggi certi nomi non li ricorda più nessuno…

«Alcuni filosofi non sono stati compresi appieno nel loro tempo, e qualcuno è stato perseguitato per le sue idee perché in rottura con il potere dominante e le ideologie delle classi dirigenti. Ma Vico è stato totalmente incompreso nel suo tempo, frainteso in seguito, e pur diventando un riferimento essenziale per molti autori importanti, a volte implicito, è rimasto poco compreso per due ragioni: per il suo linguaggio involuto, non semplice, e perché esprimeva una visione antitetica rispetto al pensiero dominante, illuminista, ateo, razionalista e materialista. In fondo un peggior oblio ha subito da noi Giovanni Gentile».

La stessa sorte vale anche per la politica? C’è chi sostiene che le intelligenze migliori in politica in Italia non vadano avanti facilmente e che quindi in Parlamento, per un semplice sillogismo, siedano spesso i …meno brillanti. È una battuta, ma lei che cosa ne pensa?

«In realtà il declino delle classi dirigenti ormai riguarda l’intero occidente, anche se l’Italia si era portata avanti, cioè indietro, da un pezzo… Il problema che lei tocca ha due spiegazioni principali, e poi altre intermedie. La prima è che man mano che la politica ha contato sempre meno, rispetto alla tecnica, alla finanza, agli assetti internazionali, i “migliori” si sono allontanati dalla politica, rifugiandosi in altri ambiti. La seconda è che c’è una legge inesorabile e perversa nella selezione della classe politica, in base alla quale i mediocri non chiamano al potere coloro che li sopravanzano, cioè quelli che sono meglio di loro, ma coloro che sono al di sotto di loro. Si circondano di più mediocri, che sono più controllabili; e questi, a loro volta, scelgono gente ancora più scadente di loro, e via con questo involuzionismo a cascata».

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