E Margherita d'Angiò divenne la regina... del "fashion"

E Margherita d'Angiò divenne la regina... del "fashion"
di Eraldo MARTUCCI
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Domenica 30 Luglio 2017, 22:05

È veramente singolare la vicenda che riguarda Giacomo Meyerbeer: la sua produzione, celebrata come una delle maggiori manifestazioni artistiche dell’epoca, sopravvisse per un quarantennio dopo la scomparsa dell’autore nel 1864 (non a caso il Petruzzelli fu inaugurato nel 1903 con i suoi “Ugonotti”) , per poi cadere in un oblio quasi totale che solo in epoca recente diverse riprese hanno cominciato a dissolvere.
Ovviamente da anni in prima fila c’è il Festival della Valle di Itria di Martina Franca (giunto alla 43ma edizione, l’ottava con la direzione artistica di Alberto Triola) che ha proposto ieri sera la prima rappresentazione assoluta in forma scenica in tempi moderni di “Margherita d’Anjou”, opera che ebbe il suo battesimo alla Scala il 14 novembre 1820 (repliche il 2 ed il 4  agosto).
Uno spettacolo accolto con grande e meritato successo per la parte musicale, mentre non sono mancati dissensi per la pur apprezzabile e ingegnosa regia. Il libretto, scritto da Felice Romani (noto per la sua collaborazione con Bellini e Donizetti),  è tratto da un melodramma del René-Charles  Guilbert De Pixérécourt e si basa su leggende che riguardano la “Guerra delle Rose” (1455-85).
 

 

La regina è un personaggio ben noto nelle opere storiche di Shakespeare. Era la vedova del re Enrico VI che il duca di Gloucester aveva ucciso dopo che Margherita era stata sconfitta nella battaglia di Tewkesbury (4 maggio 1471) e fu prigioniera con i suoi figli. L’azione (basata sulla rivolta di Northumberland durante la guerra civile) si svolge nelle Highlands Scozzesi intorno al 1462, con la regina che torna dalla Francia a capo di un esercito per riprendersi il suo regno.
Ora di tutto questo nell’allestimento firmato da Alessandro Talevi, con le scene ed i costumi di Madeleine Boyd e le luci di Giuseppe Calabrò, non c’è traccia. Il regista sudafricano ha infatti riletto la regalità di Margherita in chiave contemporanea, trasformandola in una diva del regno del fashion con la sua corte attorniata da stylist e top model  sulle passerelle della “London fashion week”. Una regia ispirata dunque a quel filone che organizza lo spettacolo in assoluta libertà, come se il testo musicale non descrivesse già di per sé ambienti, situazioni e personaggi.

Il risultato è stato dunque quello di una spettacolarità dissociata, in cui la regia si è affiancata al testo musicato. Ma questa completa autonomia dello spettacolo rispetto alle indicazioni sia didascaliche che musicali dell’opera, pur sacrificando la parte militaresca ed intensificando quella farsesca, si è risolta in un allestimento godibilissimo che ha messo meglio in risalto le tante  ottime parti musicali di un opera che capolavoro non è, ma che certamente dimostra da parte del compositore tedesco un’assoluta padronanza delle forme rossiniane intese però non come mera imitazione. Anzi alcuni momenti hanno forse offerto lo spunto a compositori coevi come Donizetti, di cui sembrava riecheggiare nel primo atto “Ah! Ritorna qual ti spero” dal “Roberto Devereux” del 1837.  
Ed il grande talento strumentale di Meyerbeer è potuto emergere grazie all’ottima direzione di Fabio Luisi sul podio dell’affidabile Orchestra internazionale d’Italia: una concertazione accurata che ha fatto brillare sia la parte più comica che quella più melodica e romantica.

Omogeneo e valido il cast di giovani cantanti che ha visto emergere  Giulia de Blasis (Margherita), Gaia Petrone (Isaura), Laurence Meikle (Carlo Belmonte), Marco Filippo Romano  (Michele Gaumotte) e Anton Rositskiy (Duca di Lavarenne).  

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