Delitto al bistrot, torna l'intuito del commissario Santoro

Delitto al bistrot, torna l'intuito del commissario Santoro
di Claudia PRESICCE
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Martedì 8 Marzo 2016, 10:33 - Ultimo aggiornamento: 10:38
Attenti, prima o poi anche voi potreste incontrare il commissario Santoro. O forse lo avete già incontrato e potreste avere avuto la cattiva idea di sottovalutarlo, perché in un mondo in cui tanti corrono e gridano per sopraffarsi l’uno con l’altro, in un mondo in cui la minaccia, la prevaricazione, la prepotenza, rappresentano la regola, il commissario Santoro probabilmente non vi avrà intimidito affatto.
Non vi sarà sembrato nemmeno un detective come quelli che siamo abituati a vedere al cinema o in tv. Non ha i modi bruschi del commissario Montalbano (con il quale condivide però la passione per la buona cucina) e nemmeno l’attitudine allo scontro fisico come tanti “eroi” del piccolo e del grande schermo.
È un commissario, sì, un poliziotto vero e proprio, il personaggio inventato da Piero Grima, medico con il talento della scrittura (sono ormai quattordici i gialli pubblicati da Besa che hanno come protagonista il commissario Santoro), ma è un poliziotto che non urla e non minaccia. Parla, invece, il commissario, applicando il metodo maieutico dei vecchi investigatori, e con il suo aspetto bonario è in grado di tessere trappole efficacissime per il più insospettabile dei colpevoli, secondo una metodologia utilizzata anche in “Delitto al bistrot du peintre”, l’ultimo romanzo di Grima da poco arrivato in libreria.

Non si smentisce, Santoro, in questa nuova avventura: anche chi non lo ha mai visto può immaginarselo, perfino nella personalità e nell’aspetto: statura media, in leggero sovrappeso, lo sguardo affabile del padre di famiglia, comprensivo quanto (e quando) basta.
Il nostro poliziotto, però, come Maigret, non ha figli, o almeno non ne parla mai, mentre non esita a raccontare l’importanza che nella sua vita ha la moglie Nella, estrosa, un po’ artista e anche lei abile in cucina (spesso in questo indottrinata dalla sconfinata cultura gastronomica del marito).
Fin qui il carattere. Ma il commissario ha anche un altro asso nella manica che lo rende impareggiabile nella sua professione di segugio: conosce la città fin nei suoi aspetti più profondi, ne conosce i profumi, gli anfratti, le contraddizioni.
I suoi casi sono inseriti nella rappresentazione di una città “che esiste e non esiste”, che in parte c’era e non c’è (ancora una volta il paragone è calzante: proprio come la Parigi di George Simenon, dove ancora oggi chi legge un’avventura del commissario Maigret ritrova i flic in bicicletta che non esistono più).
Ecco allora vecchie nobildonne, professori di musica che vivono in case della vecchia Lecce, trattorie dove c’è ancora un oste che si intrattiene con i clienti, Un uomo così, un poliziotto come Santoro, non ama le diavolerie tecnologiche, si fida più del proprio buonsenso che di un esame del dna e si muove sul filo dell’esame attento del carattere degli indagati.
In “Delitto al bistrot du peintre”, la storia prende il via quando in una mattina di maggio, in una città presa d’assalto da una manifestazione sindacale, in un bar della periferia un giovane viene trovato ucciso, pugnalato. I documenti che la vittima ha addosso la fanno identificare con il musicista Gianluca Prosperi. Ma qualcosa non torna. Un uomo come Prosperi, “germofobico”, maniaco dell’igiene, non sarebbe mai entrato in un bar. Ma  allora chi è il morto? E perché per ucciderlo è stato utilizzato uno stiletto medievale “che compare e scompare facendo impazzire il commissario Santoro e l’ispettore Lo Palco”?
Fantasia e attualità si mescolano. L’intera vicenda è resa meno trasparente dal solito perbenismo di certi ambienti cittadini. C’è un 35enne di origini ungheresi che forse vive in una campo rom ed è senza fissa dimora. C’è una donna che nasconde le sue relazione e che viene tradita da un piccolissimo dettaglio, c’è un barone, Giustino Cummeri, non manca Semoz, il gestore del mitico “Caffè delle Rose”, e c’è tutto un itinerario investigativo che il commissario percorre, seguito dal fido Lo Palco, in un percorso a tappe che, incontro dopo incontro, conduce il poliziotto alla composizione del puzzle e alla risoluzione dell’enigma, già pronto per la prossima avventura.
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