Pasolini e Marini, nel libro di Curi la passione che unì l’intellettuale
e la musicista e la scoperta della musica popolare italiana

Pasolini e Marini, nel libro di Curi la passione che unì l’intellettuale e la musicista e la scoperta della musica popolare italiana
di Claudia PRESICCE
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Martedì 4 Ottobre 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 01:03

Tutto cominciò per lui. Per il suo amore per la musica e per quella popolare, una passione contagiosa tra gli intellettuali del tempo, e ante litteram rispetto all’amarcord della contemporaneità che si è riscoperta re-innamorata delle tradizioni (e del loro consumo a volte). 
“Lui amava tutta la musica popolare, dal canto d’osteria di un paese sperduto nella Slavia friulana ai successi di Claudio Villa, dai canti anarchici alle serenate napoletane, da Butitta a Modugno, e poi le bande, i balli, le orchestrine, perfino il suono delle campane….”: è un fiume in piena Giandomenico Curi quando racconta la passione di Pierpaolo Pasolini per la musica popolare nel nuovo libro, intenso e lirico, “Il me paìs al è colòur smarit - Pier Paolo Pasolini e Giovanna Marini” (Besa; 18 euro; 368 pagine). Si fa narratore di una storia di un tempo che, a riguardarlo oggi, appare lontanissimo, in cui si andava a cantare “Bella ciao” e altre canzoni italiane nelle piazze e nelle strade, tra sentiti cori improvvisati, e anche tra baruffe e scontri politici. Lo scrittore regista ci riporta ad un tempo in cui non si aveva paura di esprimersi con la musica, anzi.

 

L'incontro a Roma tra l'intellettuale e la musicista

Furono gli anni in cui una giovane donna “ingenua e lontana, talmente impastata di musica e basta” incrociò il poeta intellettuale innamorato della canzone popolare. Era Giovanna Marini che incontrò Pasolini nel febbraio del 1960 in un attico di piazza di Spagna a Roma durante una festa in cui lei era stata chiamata a suonare Bach. Lui incominciò a stuzzicarla, le cantò “Bella ciao” che lei ancora non conosceva, le parlò della cultura orale, ignota ancora a lei indottrinata dallo studio musicale classico, solo su rigorosi libroni. Come finì? Che la Marini, dopo un’iniziale difficoltà, cantò per lui un’antica ninna nanna di suo nonno per mostrare una preparazione meno ortodossa… Fu l’inizio di una nuova avventura, l’esistenza stessa di Giovanna trovò una soluzione, una strada che non sarebbe più cambiata e lei stessa, per tutta la vita, sarebbe andata raccontando la rivoluzione del suo immaginario musicale da quel momento. “Per Giovanna – scrive Curi – la scoperta di quell’universo e di quella musica è veramente un’illuminazione, come un rinascere in una dimensione, di cui non sospettava nemmeno l’esistenza…”. 

Il tempo magico di un pensiero collettivo


Fu un tempo magico. Lo era la società intorno, lo erano i sogni e le speranze che ancora si coltivavano: sembrerà strano leggerlo per i giovani di oggi, ma allora si tendeva molto ad un pensiero collettivo. E tutto, dalla musica ai discorsi al bar, dai libri ai giornali, poteva essere utile al progetto di migliorare il mondo, desiderio a cui tutti, anche in direzione opposta, erano protesi. E magica fu questa ricerca della semplicità spinta all’interno della musica popolare e popolaresca, o nella genuinità nel dialetto, tra le facce della gente delle periferie, nel Sud primordiale, ma anche nella campagna friulana e tra tutte le civiltà contadine disseminate come una lunga colonna vertebrale italiana.

Pierpaolo Pasolini fu pioniere di questa tendenza, fece una rivoluzione che non tutti gli intellettuali del tempo seppero cogliere, e aveva grandi progetti rimasti sulla carta a causa del feroce omicidio che cancellò le sue future stagioni. Il suo percorso, sempre ad ostacoli, in questo senso era iniziato tra le campagne friulane: da qui Curi nel libro parte con accurata narrazione, non tralasciando le delusioni e le amarezze che lo allontanarono presto da quella terra da lui amatissima. La ricerca musicale non venne però sconfitta e Pasolini, dopo le ricerche friulane profonde e poetiche, conobbe le stagioni romane. Tra le altre cose che approfondì, qui ebbe anche “un’attenzione divertita e complice per tutto un repertorio di canzoni a gola spiegata (dagli stornelli a Claudio Villa) che tuttavia è sostanzialmente un gioco di mimesi culturale dell’autore con i suoi stessi personaggi, per arrivare più velocemente al cuore di una certa Roma giovanile e malandrina” scrive Curi. 

Da Nord a Sud, il viaggio nella musica


Dalla Roma “malandrina” ai ragazzi di borgata fino al Sud dei Sud: uno spartito sconfinato diventò per lo studioso ogni patrimonio popolare. Per Giovanna Marini l’incontro con Pasolini, e quella frequentazione, fu “una sorta di luce sulla via di Damasco che porterà la musicista romana a spostare il suo sguardo e il suo interesse dai banchi e dai palchi dell’Accademia ai campi e alle fabbriche della musica popolare – scrive Curi – Lei, che era destinata a una carriera di musicista dura e pura, viene trafitta da uno sguardo, da una frase, dalla melodia di una villotta in friulano, seguita da un canto partigiano e un altro di risaia”. Pasolini canta e le spiega che la musica è nell’anima della gente, nella memoria non sui libri. Dimostra la miopia e l’insensibilità dell’imperante cultura italiana che ignorava la musica della tradizione popolare, il vero bacino in cui intercettare l’umanità ancora scevra dall’appiattimento omologante del consumismo capitalista. Giovanna lo sentirà risuonare per sempre dentro, anche quando lui dal 1975 non ci sarà più. Sarà presente Pasolini in ogni opera della Marini. Scrisse pochi mesi dopo per lui “Persi le forze mie”, pubblicato, nel 1976, sulla facciata B di un album storico, “I treni per Reggio Calabria”. Poi dal ’78 quel brano risistemato diventerà lo storico “Lamento per la morte di Pasolini” dell’album “Correvano coi carri”. Il libro entra tra le pieghe del rapporto personale tra i due, ma anche del lascito di Pasolini e del lavoro successivo incessante e meraviglioso di Giovanna Marini, che la portò anche nel Salento. E mentre si compie un’analisi accurata dei brani, della loro storia e di quella musica dell’anima (nella seconda parte del volume soprattutto si ritroveranno dettagli analitici) si finisce per insistere sulla scenografia di quell’atmosfera temporale straordinaria degli anni Sessanta, celebrandone i toni dolci, e la genuinità di rapporti nati intorno alla semplice comune idea di cambiare il mondo. 

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