Uccise un uomo a pugni per un diverbio: condannato a 21 anni di carcere. Il pm: «Premeditazione e accanimento»

Il luogo dell'accaduto
Il luogo dell'accaduto
di Daniela UVA
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Lunedì 12 Giugno 2023, 22:13

Nella notte fra il 4 e il 5 settembre 2021 incrociò un imbianchino 40enne in un’area di servizio sulla strada provinciale tra Modugno e Bitonto. Qui, dopo un diverbio, l’ex pugile 21enne Fabio Giampalmo sferrò quattro violentissimi pugni colpendo Paolo Caprio, che cadde a terra, sbattendo la testa e perdendo la vita. 
Oggi, dopo una lunga camera di consiglio, la Corte di Assise di Bari lo ha condannato a 21 anni di reclusione. Nove in meno rispetto alla richiesta avanzata lo scorso 22 maggio dal pm Ignazio Abbadessa, che durante la requisitoria aveva evidenziato «l’accanimento, lucidità e predeterminazione» con la quale il 21enne si scagliò contro Caprio, chiedendo il riconoscimento delle aggravanti per aver agito per futili motivi e per aver utilizzato tecniche di combattimento. 

Le motivazioni

Il pubblico ministero aveva anche spiegato di non aver chiesto il massimo della pena, cioè l’ergastolo, perché riteneva che l’omicidio fosse stato commesso con il dolo eventuale. Giampalmo è stato dunque condannato per omicidio volontario, nonostante i difensori Nicola Quaranta e Giovanni Capaldi abbiano sempre sostenuto si sia trattato di omicidio preterintenzionale, evidenziando che Giampalmo non avrebbe avuto intenzione di uccidere e che l’imbianchino sarebbe deceduto a causa del violento colpo alla testa in seguito alla caduta.
A Giampalmo i giudici hanno riconosciuto comunque le attenuanti generiche. Secondo la ricostruzione dell’accusa, confermata da alcuni testimoni e dalle immagini riprese dalle telecamere di videosorveglianza, Giampalmo sarebbe arrivato nella stazione di servizio con la sua compagna, i figli e alcuni amici. 
Qui, dopo una lite, avrebbe sferrato quattro violenti pugni contro l’imbianchino che a quel punto sarebbe caduto all’indietro, sbattendo la testa sul marciapiede e perdendo la vita.

Durante l’udienza del 22 maggio il pm aveva mostrato, ancora una volta, le immagini riprese dalle telecamere, che erano state visionate già in precedenti occasioni e che hanno evidenziato la dinamica dell’episodio. 

Il movente

Quanto al movente, secondo l’accusa non sarebbe stato da ricercare in atteggiamenti di gelosia, ma nella volontà da parte dell’imputato di affermare la propria posizione all’interno di un gruppo criminale di Bitonto. Secondo il pm, Giampalmo sarebbe infatti vicino al clan Cipriano e avrebbe sferrato quei pugni «per rispondere a una provocazione, perché la vittima non aveva portato rispetto al suo gruppo di amici». 
Nel corso dell’udienza del 18 aprile, Giampalmo per la prima volta aveva chiesto scusa alla famiglia Caprio, cercando di spiegare che non ha mai avuto intenzione di uccidere. Giampalmo aveva ammesso di aver preso a pugni la vittima, senza però aver immaginato che sarebbe potuta cadere e, di conseguenza, perdere la vita. Tesi sostenuta da sempre dalla sua difesa. Secondo il pm, Giampalmo avrebbe però chiesto perdono troppo tardi e senza rivolgersi direttamente alla vittima, “accettando l’eventualità che da quella condotta scaturisse la morte di quel ragazzo per dimostrare la propria affermazione all’interno del gruppo e del gruppo stesso nella comunità bitontina”.
 

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