Ospedale Pediatrico sotto accusa: «Al Pronto soccorso in attesa vana per sei ore»

L'ospedale pediatrico
L'ospedale pediatrico
di Alessandro PATELLA
3 Minuti di Lettura
Venerdì 10 Giugno 2022, 07:48 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 20:32

Ospedale Pediatrico sotto accusa: «Al Pronto soccorso in attesa vana per sei ore».
Ore trascorse in attesa di risposte, per poi tornare a casa pieni di domande e di amarezza. È il resoconto della giornata passata mercoledì scorso al pronto soccorso dell'ospedale pediatrico Giovanni XXIII da una coppia del nord Brindisino e dal loro bambino di 2 anni.

La storia infinita

Arrivati alle 19.30, i tre sono andati via intorno alle 2 di notte senza aver avuto alcun consulto medico. «Venivamo - premette la mamma che ci ha contattato - da giorni abbastanza impegnativi. Nostro figlio era stato ricoverato d'urgenza a Monopoli per problemi respiratori, forse legati a uno shock anafilattico. Dopo essere stato dimesso, è stato poi colpito da una febbre molto alta, che non è scesa per 48 ore nonostante la terapia antibiotica. È stato allora che il nostro pediatra ci ha consigliato di recarci urgentemente al pronto soccorso del pediatrico di Bari e chiedere una consulenza infettivologica».

Una volta in via Amendola, madre e figlio sono stati sottoposti, come da prassi anti Covid-19, alla misurazione della temperatura e al tampone. «Sono stati - spiega la donna - gli addetti della sicurezza a effettuare queste operazioni. Ci hanno assicurato che ne avremmo conosciuto l'esito in pochi minuti, ma in realtà da quel momento in poi c'è stato il nulla assoluto: non ci è stato assegnato un numero, né una priorità. La cosa peggiore è stata che non abbiamo visto nessuno tra operatori sanitari, infermieri e dottori fino alle 23.19».

A quell'ora risalgono i documenti relativi all'accettazione del piccolo paziente. «Ci hanno chiesto cosa fossimo andati a fare al pronto soccorso. Era stato un loro collega, il pediatra, a consigliarcelo. Hanno misurato la temperatura a mio figlio, la situazione era sotto controllo, quindi ci hanno mandati ad attendere il nostro turno in codice verde».

Dopo un po' di tempo, però, la febbre è risalita e i due hanno avuto bisogno di assistenza. «Mi sono rivolta - racconta la donna - all'unica persona disponibile, un'addetta alla sicurezza. Le ho spiegato cosa stesse accadendo e le ho chiesto se ci fosse la possibilità di somministrare qualcosa al bambino. La signora mi ha domandato quanto pesasse e quando avesse preso l'ultima dose di antipiretico. Si è allontanata e, dopo circa 20 minuti, è tornata con una siringa contenente una dose di Tachipirina, che ho somministrato oralmente a mio figlio. Non dubito che l'addetta alla sicurezza avesse chiesto un parere a un medico, però avremmo preferito averlo direttamente noi».

«Non credo - aggiunge - che ci fosse un numero di pazienti tale da giustificare tanta attesa. Credo piuttosto che non ci fosse abbastanza personale medico. Solo un paio di volte è arrivata un'ambulanza con un paziente in codice rosso. Qualcuno sosteneva che fosse presente in sede un solo medico».

Dopo ore di attesa, si torna a casa

Alla fine, la decisione della famiglia è stata quella di tornare a casa, senza aspettare che il piccolo fosse visitato. «Intorno alle 2 abbiamo constatato che molte persone erano lì dal primo pomeriggio. Per questa ragione abbiamo deciso di andarcene e di continuare a gestire la febbre di nostro figlio come avevamo fatto fino a quel momento: confrontandoci col pediatra e proseguendo con la terapia antipiretica».


«In fase di triage - fanno sapere dall'azienda ospedaliera - la temperatura del bambino era di 36.5°. È stato assegnato un codice verde. Quello di ieri è stato un pomeriggio straordinario per il pronto soccorso del Giovanni XXIII, sono stati trattati tre pazienti in codice rosso. Tutto il personale, tra i quali assicuriamo ci fosse più di un medico, è stato dunque molto impegnato nella gestione di queste situazioni critiche fino alle 3 di notte».
© RIPRODUZIONE RISERVATA - SEPA

© RIPRODUZIONE RISERVATA