Francia, i fratelli Kouachi sepolti di nascosto in tombe anonime

Francia, i fratelli Kouachi sepolti di nascosto in tombe anonime
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Domenica 18 Gennaio 2015, 11:39
Sempre inseparabili, dall'infanzia terribile in cui, mano nella mano, scoprirono la madre morente in casa per aver preso troppe medicine, fino al 7 gennaio, scatenati a fare fuoco insieme con i kalashnikov contro la redazione di Charlie Hebdo.



I fratelli Said e Cherif Kouachi, che nessun cimitero voleva, sono stati sepolti lontano uno dall'altro, di notte e di nascosto. Said, il più grande (34 anni), l'hanno sepolto stanotte a Reims, nel cuore della Champagne, a nord di Parigi. Una tomba senza nome, in un cimitero ignoto: «avevo detto di no ma lo stato mi ha richiamato ai miei doveri - racconta con disappunto Arnaud Robinet, il sindaco UMP (destra) - soprattutto non volevo che in città ci fosse una tomba che da un certo tipo di persone potesse poi essere identificata come quella di un martire». Robinet alla fine ha dovuto piegare la testa, Said abitava da due anni in città, la vedova aveva tutto il diritto di reclamare il diritto a seppellirlo lì.



Quanto a Cherif, che aveva 2 anni di meno, la sua compagna ha chiesto al comune in cui i due risiedevano, Gennevilliers, nella banlieue di Parigi, di poterlo seppellire nel settore musulmano del cimitero cittadino. Il sindaco, Patrice Leclerc (comunista), rifiuta «qualsiasi polemica sull'argomento» e si limita a spiegare: «non ho scelta. Come tutti i sindaci preferirei evitare di seppellire un terrorista nel mio Comune, ma mi limito ad applicare la legge».



Dopo una vita e una morte trovate insieme, gli inseparabili fratelli Kouachi resteranno dunque per sempre lontani uno dall'altro. In Francia la loro storia è ormai conosciuta da tutti, dalla scoperta del cadavere della madre in casa alla tragica infanzia in una casa-famiglia, dai primi passi nella filiera del 19/o arrondissement di Parigi, fucina di integralisti, all'arruolamento nella jihad. C'è molto ancora da scoprire nelle vite del più discreto Said e dell'esuberante Cherif, rapper e calciatore mancato.



Una delle testimonianze più vere l'ha fornita Evelyne, che negli anni Novanta aveva creato un'associazione proprio nel XIX arrondissement dove i due ragazzini crescevano in uno stato di grande miseria affettiva e sociale. Il padre non si sa chi sia, la madre, con cinque figli, non ce la fa, si prostituisce. Cherif, il più turbolento, «lo sorvegliavo come si fa con il latte sul fuoco», racconta Evelyne: «li portavo al cinema, lui lo adorava. Era un bambino che mi faceva impazzire».



Ricorda di quando li portò a Eurodisney e di quando, rientrando, trovarono la mamma morta, forse suicida. I servizi sociali li spedirono in un centro per orfani, in Correze, nel centro della Francia. Presero due diplomi professionali (alberghiero uno, elettronico l'altro), sembravano perfettamente inseriti e così li ricorda, soprattutto Cherif, l'allenatore della squadretta di Chamberet, Pascal Fargetas, che intravedeva per lui un futuro da calciatore: «me lo rivedo, con la sua maglia del Paris Saint-Germain, mentre balla il rap negli spogliatoi. E poi veniva a parlarmi sempre di Zidane, il suo idolo».



Sarà poi il ritorno nel XIX arrondissement parigino dove erano nati e la caduta sotto l'influenza dell'autoproclamato imam Farid Benyettou, che aveva la loro età (23 anni) a segnare il primo passo verso il reclutamento nella jihad.
Un cammino senza ritorno. Come sempre, più discreto per Said, travolgente per Cherif.
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