L'Imam di Lecce: «Violenza cieca. Questi gesti non giovano all'Islam»

L'Imam di Lecce: «Violenza cieca. Questi gesti non giovano all'Islam»
di Pierpaolo SPADA
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Sabato 21 Novembre 2015, 12:43 - Ultimo aggiornamento: 15 Novembre, 12:38
La comunità islamica del Salento è tra le maggiori in Italia. Gli attentati di Parigi l’hanno sconvolta, come nel resto d’Europa e non solo. L’Imam Saifeddine la guida da diversi anni. Nelle sue parole, c’è l’interpretazione dei fatti di Parigi ma anche il riconoscimento di quelle “distanze” che rigenerano violenza.

Imam Saif, 128 morti, 200 feriti. Cosa è successo, realmente, a Parigi?

«Terrore e orrore. Io ho la mia famiglia in Francia. Ancora una volta dico che a questa gente non interessano i musulmani e, soprattutto, quelli che vivono in Europa. Chiunque capirebbe che questi gesti non giovano all’immagine dell’Islam. L’obiettivo è solo distruggere e in modo cieco. Sicuramente tra le vittime ci sono anche musulmani».



Fa bene l’Italia ad avere paura?

«Non parlerei di paura. La paura ci fa fare le cose in fretta, reagire in modo non saggio. L’Italia fa bene a fare attenzione e a prevenire: quando si identifica una persona che sta realmente lavorando per creare terrore, deve essere espulsa. Il rischio è dappertutto. I giovani vengono reclutati verso su internet, su Facebook».



Ancora una volta, alcuni attentatori erano giovani europei. Segnale di consolidamento? Per altro verso, c’è chi - come l’ambasciatore Sergio Romano - pensa che sia il momento di maggiore debolezza di Isis e che il colpo a Parigi nasca dalla esigenza di riaffermazione?

«Isis ha cambiato modo di comunicare. All’inizio, solo attentati ed esecuzioni. Ma così allontanavano chi inizialmente si era accostato loro e hanno cambiato strategia di propaganda: ora parlano e basta. A Parigi, Isis ha inteso affermare la propria forza nei confronti della Francia, simbolo dell’illuminismo e dell’Occidente».



La chiusura delle frontiere rischia di diventare una soluzione permanente. E’ utile?

«In emergenza, è logica. Ma permanente sarebbe il segno di fallimento del sistema di sicurezza europea e del livello di civiltà raggiunto e sancirebbe il successo dei terroristi. Abbiamo altri mezzi che non siano la guerra: la cultura, il dialogo. Chi decide di fare il terrorista è ignorante dal punto di vista religioso, cede facilmente alle tentazioni».



Isis ha ancora una volta rivendicato l’attentato esercitando critica nei confronti dell’Occidente, reo di colpire costantemente le popolazioni islamiche. Qual è la responsabilità dell’Occidente?

«Chi, anche a livello internazionale, sta rispondendo con la violenza sta confermando quello che l’Occidente pensa, ossia che occorra cambiare la struttura sociale di quei popoli perché se rimangono come sono rappresentano una minaccia mondiale. E’ una risposta che genera altra violenza. Occorre un nuovo approccio delle politiche internazionali. Chi si comporta come gli Usa in Vietnam non crea pace e democrazia».



A voi Imam è affidato un ruolo fondamentale per la crescita culturale. Come vi riproporrete?

«Com’è possibile che giovani occidentali lontani anni luce da Isis possano arruolarsi o farsi esplodere? In Francia, a Banlieue, c’è un disagio sociale fortissimo. È quello il terreno fertile come il fallimento scolastico, il disequilibrio nella condivisione dei beni e il sentimento di frustrazione. Isis arma persone che cercano riscatto sociale. Noi dobbiamo intervenire in questo solco culturale».



Nella comunità islamica del Salento - tra le più popolate d’Italia - esistono le spinte di cui parla?

«No. Anch’io ho letto, sul vostro giornale, di alcune segnalazioni e mi ha sorpreso. Noi abbiamo tanti giovani ma anche tante famiglie, quindi i giovani sono legati a una struttura famigliare, sono bene integrati. Certo, vedono, s’informano e questo qualche volta può muovere il cuore a qualcuno, ma ciò che io ho chiesto è dialogo immediato. La religione non è imposizione».



I fatti di Parigi, cambieranno anche il suo approccio?

«Avremmo voluto organizzare subito una manifestazione a Lecce per dimostrare l’assenza di distacco sociale da parte nostra. Ma ora la gente è addolorata, qualcuno potrebbe reagire male. Lo faremo più in là. Ci sentiamo parte della comunità locale».
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