Silvio Berlusconi, il rapporto con la Puglia: dal legame con Tatarella, Poli Bortone e Mennitti alla dialettica con Fitto

Il "ministro dell'armonia" e la "lady di destra" nel suo primo governo del 1994. Le tensioni, ma anche l'affetto e la stima, con l'attuale ministro del Pnrr

Silvio Berlusconi con Pinuccio Tatarella
Silvio Berlusconi con Pinuccio Tatarella
di Francesco G. GIOFFREDI
7 Minuti di Lettura
Martedì 13 Giugno 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 22:21

Non manca nessuno, ma è del resto la naturale forza aggregatrice dei passaggi storici: ci sono i berlusconiani di ieri e di oggi, i fedelissimi e i transfughi, gli avversari e i silenziosi ammiratori. Tutti, davvero tutti, in Puglia srotolano il campionario di cordoglio e rispetto, persino affetto e riconoscenza, dopo la morte di Silvio Berlusconi. Ma il rapporto dell’ex premier con la Puglia e i suoi cavalli di razza (senza epigoni o emulatori) è del tutto peculiare, una fotografia dai bordi irregolari e dalle tinte accese, luci e ombre, e per questo è una fotografia più genuina e profonda di quanto si immagini.

Berlusconi e il laboratorio d’idee di Pinuccio Tatarella e di Domenico Mennitti, raffinati maître à penser e primi seminatori e contaminatori del conservatorismo e del moderatismo, oltre il polo, oltre la destra e oltre l’asfittico recinto della Prima Repubblica, ascoltati e però mai del tutto, sorte comune a più di qualche consigliere più o meno saggio. Berlusconi e la dialettica franca, a tratti spigolosa, con Raffaele Fitto. Berlusconi e la salda amicizia con Adriana Poli Bortone, ministra in quell’esplosivo 1994. Berlusconi e gli incroci pericolosi con Giampiero Tarantini, Patrizia D’Addario e poi con la Procura di Bari e l’inchiesta escort.

Berlusconi e i blitz elettorali nella Puglia dei consensi a valanga e della Fiera del Levante.

 

C’è poi tutta la batteria di aneddoti («cosa avrebbe voluto fare presidente?», «il presidente del Milan», racconta Luciano Sardelli), incontri minimi, cene, cravatte sbagliate (degli altri), consigli su capelli da mettere in ordine («tagliali!», suggerì al sindaco leccese Paolo Perrone), sorrisi e foto dispensati a questo e a quello, le convention da mattatore e la capacità di blandire (o sottilmente incenerire: è successo) chiunque gli capitasse a tiro. La Puglia è stata berlusconiana? Certo che sì, nell’età d’oro del Berlusconismo di lotta (in piazza e ai seggi) e di governo (nei palazzi) nessun angolo d’Italia poteva essere immune al magnetismo dell’imprenditore che volle farsi epoca e smania di libertà, modernità, protagonismo, potere, populismo soft, pratica e cultura politica che hanno ridefinito campo e regole del gioco, per tutti e obbligando per anni tutti a rincorrere col fiatone. A Berlusconi riuscì del resto un mezzo miracolo politico solo all’apparenza senza spiegazione: il ricco e rampante tycoon del Nord che riesce a rubare il cuore di larghi e trasversali strati d’elettorato meridionale, penetrando anche nelle fasce più marginalizzate del Sud.

Una storia cominciata (non bene) nel 1994. I ruoli di Tatarella e Poli Bortone

Puglia berlusconiana, sì, ma sempre con quello scarto di originalità e autonomia. Sin dagli inizi dell’avventura politica, per esempio. Che qui per Forza Italia cominciò col piede sbagliato: nel 1994 la lista del proporzionale per le Politiche fu fatta fuori dalla commissione elettorale, e An volò al 27%. La “nera” Puglia, ma il moderatismo liberale di FI non tardò a imporsi, sfruttando pure la leva di ex democristiani, qualche socialista, imprenditori e professionisti. L’album di famiglia dei berlusconiani d’antan metteva insieme tra gli altri Salvatore Mazzaracchio e l’imprenditore Ninni Lorusso, Francesco Mele e Angelo Devicienti, e poi i preziosi avvocati e giuristi al governo Antonio Leone, Donato Bruno, Antonio Azzollini, Luigi Vitali, e le redini del partito pugliese andarono al fidato Guido Viceconte. Un mix tra vecchio e nuovo, ma senza quel turbo-nuovismo che i forzisti spiattellavano altrove. Il primo governo Berlusconi del 1994 aveva un forte palpito pugliese, poi: uno dei due vicepremier era il cerignolano Pinuccio Tatarella. Spiccato senso delle strategie, delle manovre e della visione, il “ministro dell’armonia” aveva radici a destra e in An ma teorizzava ben altro, un conservatorismo europeo e illuminato, il dialogo e l’apertura. Berlusconi s’affidò a Tatarella per trovare l’amalgama della coalizione, all’epoca fusa a freddo e in fretta e con un po’ di improntitudine. Tatarella morì nel 1999. Ministra dell’Agricoltura di quel governo (unica donna) era invece la leccese Adriana Poli Bortone, prima Msi e poi An, già in Parlamento dagli anni ‘80: il triplo filo con Berlusconi, tranne temporanee flessioni, non si spezzerà mai. Nel 2015 l’ex premier sarà pure a Lecce per sostenere la corsa alla presidenza della Regione della lady di destra, in rotta di collisione con candidato e coalizione a trazione Fitto. Più di qualche volta s’è ritrovato schiacciato tra i litiganti pugliesi del centrodestra, e non sempre gli è riuscito di pacificare.

Le idee di Mennitti

Forza Italia è stata bollata in diversi modi, negli anni: partito di plastica, azienda, personale. Il soffio della rivoluzione liberale fu ispirato da un nucleo di “teste”: tra loro il brindisino Domenico Mennitti, che fu anche coordinatore nazionale e membro del Comitato di presidenza. Intellettuale e politico acuto e ironico, fondò pure la rivista think tank “Ideazione”, e con Berlusconi furono alti e bassi, ma sempre con autentica schiettezza. Mennitti non c’è più dal 2014, e nell’ultima intervista a Quotidiano il Cav l’ha ricordato con commozione. E barese è Gaetano Quagliariello, forzista di stampo ex radicale che tra i primi azzardò la dicitura di «età berlusconiana».

 

Quella altalena di rapporti con Fitto

E poi? Beh, e poi c’è il delfino, «la mia protesi», che si ribellò alla deriva del partito: Raffaele Fitto. Scelse Forza Italia nel 1999 convergendo dal centro, e da eurodeputato, governatore, parlamentare e ministro si ritagliò gradi, visibilità e potere nella galassia berlusconiana, ma a modo suo. «La mia protesi», disse appunto l’ex premier in un memorabile appuntamento pugliese. Dopo la caduta dell’ultimo governo Berlusconi, lo scioglimento del Pdl, il ritorno di FI e il caos identitario tra i moderati, in un drammatico ufficio di presidenza volarono pure gli improperi («stai portando i metodi della peggiore politica democristiana in FI, sembri un parroco di Lecce, sei figlio di un vecchio democristiano»), e Fitto abbandonò il berlusconismo, leale e mai servile. Nulla di personale, l’ex premier era così: come il dio Crono, divorava dirigenti e successori, perché il modello non era replicabile o trasmissibile, allergico com’era ai rituali politici. La ferita tra i due lentamente si rimarginò, e prevalsero stima e affetto.

L'ultima parte del percorso. E lo striscione di Emiliano

Negli anni vennero altri berlusconiani pugliesi e tanti lo hanno mollato senza scrupoli, quando la grande nave forzista stava diventando una piccola barca. Un valzer di dirigenti, parlamentari, sindaci, in una politica che ormai consuma rapidamente cicli ed equilibri. La Puglia berlusconiana s’ubriacò d’altro, intanto: dalla coalizione a maglie larghe di Michele Emiliano alla nuova destra. E la Puglia per un bel po’ è stata anche un malinconico choc per Berlusconi: andare alla voce “Tarantini e processo escort”, dal 2010. Quell’anno l’ex premier s’affacciò a Bari al fianco di Rocco Palese, candidato governatore. E risale al 2013 l’ultimo grande palco, con tanto di folla da rockstar, nel capoluogo: piazzale della Prefettura, lì a lato dal palazzo del Comune occhieggiava lo striscione “Caro Silvio, bentornato a Bari”, fatto affiggere dall’allora sindaco Emiliano. Polemiche furibonde e ironie, ma erano solo cortesie di casa. Tra istrionici ed empatici c’è del resto un codice comune, che porta a riconoscersi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA