Invasione di pappagalli, il veterinario: «Contenere la riproduzione dei volatili»

Tommaso Castellana, veterinario centro einaudi di Bari
Tommaso Castellana, veterinario centro einaudi di Bari
di Gino MARTINA
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Mercoledì 17 Aprile 2024, 07:26 - Ultimo aggiornamento: 14:43

Per lo più di colore verde, simpatici alla vista e rumorosi quando sono in gruppo. Per Tommaso Castellana i parrocchetti presenti in massa nelle campagne giustificano le lamentele degli agricoltori dell'entroterra barese, «lamentele più che legittime». Martinese ed esperto di animali definiti non convenzionali, ossia esotici, il medico veterinario del centro Einaudi di Bari ritiene comprensibili le preoccupazioni delle organizzazioni sindacali di categoria per via dell’invasone della specie partita dall'Alta Murgia e ora presente persino nei parchi pubblici del capoluogo pugliese, oltre che nelle campagne, dove intere colonie fanno incetta di germogli di mandorli e fichi.

Andiamo con ordine, qual è la provenienza del parrocchetto?

«Se ci si riferisce alla sua origine geografica si può collocare come specie nel Sud America e in particolare dell'Argentina centrale, anche se le varietà sono tante.

Non è certo un animale delle nostre latitudini, né italiane, dove è ormai presente anche al Nord, né tanto meno europee. Si tratta di un animale importato che ha trovato qui un habitat e un clima favorevole alla sua proliferazione».

Ma come è arrivato fin qui?

«Sicuramente per mano dell'uomo. È un pappagallo molto rustico che non ha bisogno di molte cure e ha grande capacità di adattamento, perciò ha avuto molta richiesta da parte di persone che ne volevano possedere alcuni in casa in gabbia. Di qui l'offerta cresciuta di allevatori e venditori».

E come è stato possibile che si diffondesse in maniera così massiccia e libera?

«Ci sono due correnti di pensiero. La prima riconduce a un allevatore amatoriale e a un professionista che avrebbero perso delle coppie tra gli anni anni Settanta e Ottanta, nella zona del Parco dell'Alta Murgia. C'è poi la versione del camion che avrebbe perso parte del suo carico. Fatto è che le cause, l'una o l'altra, non sono state singole, ma concomitanti. A queste poi si aggiungono il fattore climatico e quello territoriale che hanno permesso all'animale di moltiplicarsi prima solo nelle zone di Giovinazzo, Molfetta e Altamura, per arrivare in gran parte della regione».

Hanno trovato insomma temperature e condizioni in grado di cibarsi e farli nidificare.

«Esattamente. Hanno trovato ambiente idoneo per riprodursi, in zone ricche di mandorleti e alberi di fico, ma anche di ciliegie, albicocche e altri tipi di frutta. Ma teniamo presente che loro sono in grado di mangiare qualunque cosa, come del resto lamentano gli agricoltori, amano anche le ghiande del cipresso, e sono attratti in genere dalla frutta dolce. Così hanno iniziato a colonizzare tutta la zona della Puglia e anche oltre grazie a una serie di elementi determinanti: la tropicalizzazione del clima, la presenza di cibo e la diminuzione di predatori esterni».

Quali sono i loro predatori?

«Falchi e rapaci in genere, diminuiti per via dell'antropizzazione sempre maggiore del territorio. Cosa che invece influisce meno sulla presenza dei pappagalli, che hanno una grande capacità di adattamento come avviene per i piccioni».

Gli agricoltori fanno la conta con danni enormi, come è possibile rimediare?

«Il contenimento di questi animali è quasi impossibile ed è anche difficile realizzarlo perché ci sono associazioni che si oppongono. Nel Nord Italia arrivano addirittura a mettere nidi e a lasciare cibo perché ovviamente il pappagallo fa tenerezza, ma non si tiene presente che la proliferazione danneggia l'equilibrio del nostro ambiente e le specie che ne fanno parte, di fatto, vengono scalzate dal parrocchetto».

Che soluzioni si possono adottare?

«Le istituzioni devono collaborare con altri enti, a cominciare da quelli associativi, di protezione della fauna selvatica, con l'Osservatorio faunistico regionale di Bitetto e organizzazioni degli agricoltori, con azioni ad esempio che possano contenere la riproduzione. Un po' come avviene per la processione, eliminando ad esempio i nidi. Anche se come soluzione a livello etico non sembra giusta, bisogna tener presente che il pappagallo entra in competizione con la fauna autoctona, rovinandola, sottraendole risorse e spazi».

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