Bocciato il terzo mandato: Lega isolata, Pd spaccato. Decaro: «Non finisce qui»

Bocciato il terzo mandato: Lega isolata, Pd spaccato. Decaro: «Non finisce qui»
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Venerdì 23 Febbraio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 11:07

Si è chiusa con la maggioranza spaccata e il Pd in subbuglio la partita in commissione affari del Senato sul Terzo mandato che ieri ha scontentato sia i sindaci, costretti a vedere sfumare il sogno di un ter, sia i presidenti di Regione. I parlamentari di Fratelli d'Italia e Forza Italia votano contro l'emendamento al decreto elettorale con cui la Lega ha tentato di aprire la strada alla ricandidatura di Luca Zaia in Veneto. Il risultato finale è schiacciante: i voti favorevoli alla proposta leghista sono solo quattro, i no 16. Al fianco dei senatori leghisti si schiera soltanto Italia Viva. A respingere l'emendamento, con FdI e Fi, sono invece le opposizioni, con Pd, M5s e Avs che si compattano sul voto contrario. Ma poco dopo, la minoranza interna al Pd, ha palesato il suo «forte disappunto» per come è stata gestita la cosa. Dopo mesi di botta e risposta fra sindaci e governatori Pd (che chiedono il terzo mandato) e la segretaria Elly Schlein (che frena), sembrava che fosse stata firmata la tregua.


Invece in serata mentre la premier Giorgia Meloni, ospite di Bruno Vespa, minimizzava sul braccio di ferro perso dalla Lega.

E anche Matteo Salvini incassava il colpo promettendo che non ci sarebbe stato un problema in maggioranza, Energia popolare, cioè la minoranza interna guidata dal governatore dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini, ha fatto uscire una presa di posizione durissima: «Non è stato rispettato l'accordo preso in direzione e non si è salvaguardata l'unità del partito». Si tratta della prima critica frontale da parte dell’area Bonaccini alle scelte di Elly Schlein, dopo le tensioni nate dalle pubblicazioni delle chat interne e la netta presa di posizione di Francesco Boccia contro il terzo mandato. 

Le ripercussioni


E la questione rischia di avere ripercussioni a vari livelli riaccendendo la rivalità di un anno fa tra le varie aree dei dem. Una rivalità che anche in Puglia non è mai stata archiviata, con picchi preoccupanti nella città di Bari. Qui l’opzione di un terzo mandato per Decaro sembrava aver messo un freno alle tensioni per la scelta del candidato sindaco che da mesi sta lacerando il centrosinistralocale. E anche la politica regionale risente dello stallo in coalizione. Intanto è già pronta la battaglia di Regioni e Comuni. A scoprire le carte il presidente della Liguria Giovanni Toti convinto che spetta alle Regioni la facoltà di scegliere il numero dei mandati dei propri governatori, paventando anche il rischio «nei prossimi due-tre anni di avere un contenzioso tra governo centrale e Regioni». A dargli man forte lo stesso presidente Anci, Antonio Decaro: «La partita non si chiude qui», ha detto il sindaco di Bari annunciando il possibile ricorso alla Consulta. Questo perché «adesso che viene riconosciuto quel diritto a tutti gli altri la loro esclusione diventa una vera discriminazione: ingiusta, incomprensibile e probabilmente incostituzionale, visto che altera la parità fra i cittadini sia per quanto riguarda l'elettorato attivo che l'elettorato passivo». E poi ancora: «Riteniamo ci siano le condizioni per sollevare una questione di legittimità costituzionale delle norme attuali e chiederemo ai Consigli delle autonomie locali di proporre alle proprie Regioni l'impugnativa». Sulla battaglia di fronte alla Consulta si aprirebbe però un quadro molto incerto. Ma esiste anche un’altra scappatoia: l’orientamento di alcune Regioni, tra cui la Puglia è che finché la legge del 2004 (il limite massimo di due mandati consecutivi) non sia stata incorporata nello statuto regionale, quel limite possa non scattare oppure - come nel caso del Veneto - che il calcolo dei mandati scatti dal recepimento della legge. 
Insieme a Campania e Liguria anche la Puglia non ha ancora recepito la legge, come ha più volte ribadito Michele Emiliano e la legge elettorale regionale resta diversa da quella nazionale del 2004 e non prevede quindi limiti di mandato. 


In via del tutto ipotetica, quindi, Michele Emiliano potrebbe decidere di ricandidarsi e stare a vedere cosa accade. In quel caso però il problema si porrebbe ancora nel Pd: con la presa di posizione così netta dei vertici, i governatori dem che lo volessero potrebbero correre solo senza l’appoggio del partito e in alternativa al suo candidato. Una frantumazione che non gioverebbe a nessuno. Diversa la situazione dei Comuni: «Dopo che, con il decreto Elezioni è stato abolito il limite di mandati per i Comuni sotto i 5mila abitanti e si è portato a 3 il limite di mandati per i Comuni fino a 15mila - spiega Decaro - ci è sembrato logico e inevitabile che la stessa questione si ponesse anche per gli ultimi 730 sindaci (sul totale di quasi 8000 in tutta Italia) rimasti con il limite dei due mandati, cioè quelli dei Comuni sopra i 15mila abitanti». E dalla maggioranza di governo c’è ovviamente chi soffia sul fuoco. Gasparri ieri parlava di un Pd che «pugnala i suoi sindaci». Mentre dalla Lega più di un parlamentare invitava i dem a cambiare idea sul voto. 

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