Adesso fa più paura il virus della povertà

di Enrico DEL COLLE
4 Minuti di Lettura
Domenica 4 Luglio 2021, 12:10

Facciamo il punto sui principali problemi che il Paese sta affrontando non senza disagi: il coronavirus rallenta ma non sembra volersi fermare, la ripresa economica prova ad “affacciarsi”, ma per ora appare solida solo nelle previsioni, le riforme sono al momento soltanto annunciate ed i provvedimenti più caratterizzanti il Pnrr (transizione digitale ed ecologica) appaiono ancora lontani dal muovere i primi passi. Naturalmente si tratta di interventi molto complessi e difficili da avviare (e da portare a conclusione) con la necessaria tempestività, ma sono fondamentali per “sterzare” finalmente verso un percorso di crescita virtuosa e possibilmente duratura. Nel frattempo, però, anche se in maniera non particolarmente “rumorosa”, ma tangibile, si sta espandendo nel Paese un virus molto attivo e pericoloso il quale, se non annientato o, perlomeno, frenato in tempi brevi, rischia di innescare una serie di questioni sociali, oltre che economiche, dagli esiti non facilmente prevedibili e soprattutto non agevolmente gestibili. 

Ci stiamo riferendo a quello che possiamo senza dubbio definire il “virus della povertà”, ormai distintamente diffuso sul nostro territorio, ma con modalità e riscontri differenti (quasi fossero delle varianti); tra l’altro, in questi tempi di pressante impegno nel piano vaccinale e nella gestione del Recovery Plan, il tema della povertà sembra essere passato alquanto sotto silenzio, come se fosse un argomento di secondaria importanza oppure non strettamente collegato sia con la crisi pandemica che con i meccanismi di impiego delle risorse europee. In realtà non è così e se non viene “assalito” con il dovuto orizzonte programmatico e con gli adeguati strumenti rischia di compromettere o, comunque, di ritardare la ricostruzione del Paese. Un primo campanello d’allarme era già arrivato forte e chiaro dal recente rapporto Istat dedicato alla povertà: in esso si indicava una forte crescita nel 2020 del numero delle famiglie povere in senso assoluto (sono più di 2 milioni, con un aumento del 6,4% rispetto al 2019), con un’impennata del fenomeno nel Nord del Paese (su 100 famiglie povere ora 47 sono al Nord, erano 43 in precedenza), ma contestualmente una maggiore “partecipazione” nel Sud (quasi una famiglia su 10 si situa sotto la soglia di povertà, meno di 7 al Nord); un secondo segnale della dannosa presenza del “virus della povertà” proviene dagli ultimi dati (fonte Istat) relativi ai prezzi al consumo: ebbene, al di là di registrarne una variazione nulla in maggio (nei confronti di aprile), l’elemento che desta maggiore preoccupazione risiede nel costante aumento del peso relativo dei prodotti alimentari rispetto alla spesa complessiva delle famiglie (ora sfiora il 20% mentre era appena superiore al 16% l’anno scorso); tale condizione, unitamente alla riduzione del potere d’acquisto delle famiglie (meno 2,6% nel 2020, fonte Istat), evidenzia uno “scivolamento” verso l’area della povertà.

Se, poi, aggiungiamo alle informazioni ora raccolte, quelle recentissime attinenti al clima di fiducia dei consumatori, si può constatare come, a fronte di un miglioramento - seppure in diminuzione - della situazione generale, il dato disaggregato faccia emergere aspetti che vanno richiamati: infatti, permangono decisamente negativi i giudizi sullo stato economico del Paese, ma soprattutto quelli sulla condizione economica della famiglia di riferimento. Insomma, in un periodo nel quale tutte le Istituzioni europee più accreditate e anche le agenzie di rating prevedono entro l’anno un recupero significativo della nostra economia (e dell’intera Unione), siamo convinti che l’attenzione ad un tema come quello del contrasto alla povertà e alla sua diffusione territoriale debba essere sempre presente nell’agenda del governo e, in tal caso, quale potrebbe essere una proposta risolutiva? Certamente quella di “inoculare un vaccino” capace di produrre lavoro flessibile ma continuo (e non solo “stimoli” temporanei), tale da determinare una crescita reale dei redditi familiari (vigilando, cioè, sull’inflazione che ha ripreso vigore negli ultimi mesi). In tal modo si potrà sconfiggere gradualmente la povertà, frenare le tensioni sociali e rilanciare i consumi, di cui abbiamo un “disperato” bisogno per veder crescere il Pil. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA