La cosiddetta "Legge bavaglio"/ La giustizia e il difficile bilanciamento dei diritti

La cosiddetta "Legge bavaglio"/ La giustizia e il difficile bilanciamento dei diritti
di Rosario TORNESELLO
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Giovedì 28 Dicembre 2023, 15:05 - Ultimo aggiornamento: 19:39

Si narra che un giorno imprecisato, in un luogo misterioso, un tizio innominato avrebbe commesso fatti di cui non si può dire nulla... Sarà davvero così? Quanto ci costa realmente l'emendamento "Costa", ora traslato dai più in due semplici parole – "legge bavaglio" – che da sole vorrebbero dare il senso dell'intervento legislativo votato a maggioranza dalla Camera su proposta di un esponente della minoranza? La nuova norma vieta la pubblicazione – integrale o per estratto – dell'ordinanza di custodia cautelare, l'atto con cui l'ordinamento giudiziario sottopone una persona a misure coercitive della libertà personale: carcere, domiciliari, obbligo di dimora eccetera. E questo finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, se prevista. Questo il punto: la pubblicazione integrale o per estratto. È tutto qui. Il testo passerà al Senato, poi il governo avrà sei mesi per varare il decreto legislativo con cui disciplinare nel dettaglio la materia. Vediamo.

Primo: finirà la cronaca giudiziaria, verranno imbavagliati i giornalisti, sarà limitata la libertà di espressione, ne deriverà un rischio per la democrazia? Se l'emendamento arriverà al traguardo, non ci saranno più pubblicazioni integrali o per estratto dei provvedimenti adottati dal giudice per le indagini preliminari su richiesta del pubblico ministero. E quindi la cronaca giudiziaria non sarà più come l'abbiamo conosciuta finora (in realtà solo dal 2017, non da sempre). Ma il contenuto di un provvedimento restrittivo potrà sempre essere riassunto, esposto e rappresentato, e con esso i motivi di un arresto, gli elementi raccolti dall'accusa, le prove a supporto, le intercettazioni utilizzate. Tutto, fuorché – è bene ripeterlo – la trascrizione integrale o per estratto. Il divieto non è un divieto assoluto di darne notizia. Sono imbavagliati i giornalisti? Non si direbbe. È a rischio la democrazia? Difficile sostenerlo. È limitata la liberà d'espressione? Sì, ma c'è un motivo. Ed è un motivo fondato.

Secondo: l'intervento normativo risponde a un sollecito (tecnicamente una direttiva) del Parlamento europeo, datato 2016. Obiettivo: rafforzare i meccanismi a tutela della presunzione d'innocenza. Un principio – un caposaldo della Costituzione (articolo 27) e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (articolo 48) – di cui si è fatto strame in lungo e largo: una chimera, proprio come la finalità rieducativa della pena con trattamenti che non possono essere contrari al senso di umanità. L'esperienza, la storia giudiziaria, la memoria collettiva: tutto concorre a far ritenere che il punto centrale del procedimento giudiziario – per l'attenzione mediatica e per gli effetti devastanti sulle persone, a maggior ragione se innocenti (ma in fase di accertamento tutti i coinvolti sono innocenti, fino a prova contraria) – il punto centrale, di fatto, più che il processo è l'applicazione della misura cautelare. Purtroppo: per evidenti motivi, non ultimo la segretezza delle indagini nel perseguire i reati, è l'atto in cui lo squilibrio tra accusa e difesa raggiunge il massimo livello, a favore della prima. E in cui la vita di una persona – inclusi l'onore e la dignità, con lo stigma connesso alle misure restrittive personali che precede qualsiasi sentenza di colpevolezza – è rimessa alle decisioni di due magistrati: il pm che indaga e il giudice per le indagini preliminari che decide sulla scorta degli elementi forniti dall'accusa (motivo per cui l'udienza preliminare, dove interviene la difesa, si svolge davanti a un magistrato diverso dal gip, ormai condizionato nella valutazione dei fatti: il gup). Vale la pena insistere su questo fronte in nome della presunzione d'innocenza, nel rispetto dei diversi ruoli della giustizia e dell’informazione? Vale, non c'è dubbio.

Terzo: è la sentenza, non l'ordinanza di custodia cautelare, a essere pronunciata nel nome del popolo italiano. La differenza è sostanziale: il processo è sottoposto al controllo pubblico attraverso la celebrazione a porte aperte (salvo particolari casi), in modo tale che l'accertamento giurisdizionale dei fatti, nel confronto tra le parti davanti a un giudice terzo, sia affidato anche – in astratto direttamente, in concreto tramite i soli resoconti giornalistici – al controllo "democratico" dei cittadini. L'applicazione di misure cautelari segue altre logiche: da una parte deve salvaguardare il buon esito delle indagini; dall'altra deve tutelare, privacy inclusa, la stessa persona sottoposta ad accertamento, che deve potersi difendere, pur se colpevole, senza essere esposta preventivamente a pubblica gogna. Domanda: l'applicazione delle misure cautelari è sempre stata accompagnata con (e motivata da) gli argomenti essenziali, pure a tutela dell'indagato? Risposta: no. Per il codice, ad esempio, lo stesso pm dovrebbe raccogliere, insieme con gli elementi di prova a carico, anche quelli a discarico dell'accusato. Accade? Chissà. Altra domanda: i resoconti giornalistici hanno sempre narrato i fatti evitando accuratamente di collocare la persona al centro delle inchieste in un'aura di dichiarata colpevolezza? Hanno esposto le ragioni della difesa con la stessa forza comunicativa, identico spazio espositivo, eguale suggestione argomentativa riservata all'accusa? Raramente (non fosse altro perché, come detto, fino all'esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare la difesa ha un ruolo pressoché irrilevante, se non proprio nullo). Qualcosa non torna. La stessa riforma Cartabia – bella o brutta a seconda dei giudizi personali, comunque efficace in alcuni passaggi – aveva posto un argine alla deriva culturale colpevolista, vietando – ad esempio – che alle operazioni delle forze di polizia si dessero nomi roboanti finalizzati a sottolineare la responsabilità piena (a prescindere) degli indagati.

Un passo importante nella civiltà giuridica e nella cultura garantista del Paese.

Torniamo al punto di partenza: quanto ci costa l'emendamento "Costa"? Il giornalismo da riporto, quello "copia e incolla" ammantato di controllo democratico, con la voce grossa del cane da guardia per interposta persona, dovrà aspettare, riflettendo su forzature e storture: se è questo che si vuol fare, c'è tempo (senza dover attendere molto) per pubblicare in tutto o in parte il materiale contenuto in un'ordinanza di custodia cautelare: 6, 12 o 18 mesi, quanto occorrerà per chiudere le indagini preliminari, ma a quel punto con ben altra cognizione di causa, minori timori o maggiori cautele, a seconda che la posizione dell'indagato sia stata confermata, ridimensionata o semplicemente archiviata. L'altro tipo di giornalismo, quello d'inchiesta, che rischia in proprio, suscita interrogativi e sollecita accertamenti, solleva dubbi e impone risposte, potrà e dovrà continuare, con maggior forza. A dover essere tutelato e protetto, semmai, è proprio questo aspetto della professione che negli anni ne ha segnato, in senso positivo, le fortune: esposto com'è a un sistema perverso di "rappresaglia legale", querele e liti temerarie, richieste di danni tanto stratosferiche quanto spesso palesemente immotivate, tempi lunghi della giustizia, pesanti sanzioni e incertezza delle pronunce, rischia di avvitarsi nell'inerzia e nell'autocensura, soprattutto negli organi di informazione senza grossi gruppi editoriali alle spalle. Pubblicare integralmente o per estratto un'ordinanza di custodia, intercettazioni incluse, non ripara da esposti e azioni civili (né, a un livello più alto, tutela la democrazia e le libertà fondamentali) più di quanto faccia un diligente e accurato lavoro di ricerca delle notizie e ricostruzione dei fatti, secondo il famoso decalogo della Cassazione (verità oggettiva o putativa, utilità sociale, continenza espositiva). Resta la trappola semantica di cosa significhi e si intenda, esattamente, per "estratto": tecnicamente, un "concetto giuridico indeterminato". Il pericolo da tenere d'occhio è qui. È su questa singola parola, insidiosa perché vaga, che occorrerà vigilare. La libertà di informazione e la tutela delle persone si rafforzano a vicenda.

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