Trent'anni senza don Tonino Bello, o come invece ama ripetere più saggiamente suo nipote Stefano (figlio del fratello Marcello, ndr), «trent'anni con zio Tonino più vivo che mai, con la sua presenza costante tra di noi, ancora oggi capace di avvicinare le folle e appassionarle alla parola di Dio. Ancora oggi capace di far arrivare il suo messaggio rivoluzionario sui temi della solidarietà e della pace». Quella pace "convivialità delle differenze" e quella solidarietà che diventarono segni tangibili della sua opera, quando accolse quanti approdavano, fin da allora, sulle coste pugliesi, fuggendo dalle proprie terre.
Don Tonino, il prete innamorato di Gesù Cristo e dei poveri, don Tonino e la sua "Chiesa del grembiule", come invito ai cristiani e alle comunità e come speranza per i poveri del mondo. «Di fronte alle ingiustizie del mondo, alla iniqua distribuzione delle ricchezze, alla diabolica intronizzazione del profitto sul gradino più alto della scala dei valori, il cristiano non può tacere» scriveva nel libro "Vegliare nella notte", catalizzando l'attenzione verso gli ultimi, gli emarginati.
Domani, 20 aprile, ricorre il trentennale del "dies natalis" (per la Chiesa il giorno della rinascita dei suoi figli, ndr) del compianto vescovo di Molfetta, oggi venerabile (in attesa del riconoscimento del miracolo che lo farà dichiarare "Beato"), nato ad Alessano nel Capo di Leuca, paesino di poche migliaia di anime, nell'estremo Sud della Puglia.
Le celebrazioni ad Alessano
Per le celebrazioni ad Alessano venerdì arriverà anche la Croce di Cutro (realizzata con le travi di legno di un relitto ingoiato dal mare, per ricordare la strage di tanti innocenti), che domani sera lascerà Molfetta per raggiunge il paese di don Tonino. «Un segno di continuità tra le due terre, Molfetta e Alessano in nome di don Tonino, con un simbolo che ha un significato particolare, il significato dell'accoglienza, della tragedia del mar Mediterraneo e di un'Europa che ancora non è pronta ad accogliere chi viene da altri territori. Questo mare "monstrum" che dovrebbe essere invece mare "nostrum" - commenta il presidente della Fondazione "Don Tonino Bello", Giancarlo Piccinni - . In questo trentennale la profezia di don Tonino sulla pace diventa ancora più importante e il suo messaggio ancora più dirompente, perché viviamo in un momento in cui l'umanità di nuovo ha affidato le sorti alla guerra. Per questo anche quel segno della Croce di Cutro diventa importante. Oggi siamo di nuovo nella follia dei nazionalismi e don Tonino quando andò a Sarajevo disse che era necessario affidarsi ad organismi sovranazionali, come l'Onu, per superare, appunto, il limite della nazione.
Organismi in grado di difendere la pace nel mondo, In quell'occasione lui disse: "Quando l'Onu dei potenti non si muove, l'Onu dei popoli entra a Sarajevo", come a dire che la pace si costruisce attraverso i popoli, un processo che parte dal basso e non dai palazzi. Un messaggio che va compreso nella sua profondità. Un'Europa che non sposa la pace e l'accoglienza è un'Europa che perde le proprie radici. Un'Europa che sarà capace di svoltare, di fronte alle sfide di cui parlava don Tonino (guerra atomica, impoverimento, fame nel mondo e cibernetica) solo se diventerà un continente aperto, generoso, che accetta le ragioni della pace e non rimane ingessato all'interno delle ragioni della guerra».
© RIPRODUZIONE RISERVATA