Sud Est, da Lecce a Otranto con i turisti: cambio di 3 treni, arrivo dopo 90 minuti

Sud Est, da Lecce a Otranto con i turisti: cambio di 3 treni, arrivo dopo 90 minuti
di Paola Ancora
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Mercoledì 28 Ottobre 2015, 09:42 - Ultimo aggiornamento: 29 Ottobre, 11:41

Diario di viaggio, carnet de route, travel diary. Spazzolino, biancheria, felpa, macchina fotografica e mappa del Salento. Valigia pronta. Occhi spalancati, avidi di nuovi paesaggi. Oggi il treno fa rima con “vacanza”. L’attesa, in coda, alla biglietteria della stazione di Lecce è momento ideale per ripassare e mandare a memoria la bellezza che ha riempito i giorni trascorsi nel barocco. È tempo di andare: Otranto e i suoi Martiri, il mare e la brezza dell’Adriatico aspettano.

Quindici minuti sono passati. Il tabellone lampeggia: arriva il treno della Ferrovie Sud Est proveniente da Martina Franca. Trentasei minuti di ritardo. Però. In vacanza il tempo non conta. Così dicono. Il nostro treno partirà dal binario sette alle 9.36. I minuti scorrono, grani del rosario di un viaggiatore. Ne mancano ancora otto. Ancora qualche istante di attesa. Una caramella per ingannare lo stomaco. Arriva il nostro turno. «Due biglietti per Otranto, per favore». «Signorina qui non facciamo ticket delle Sud Est, deve andare all’edicola» ribatte l’impiegato delle Ferrovie dello Stato senza alzare gli occhi dalla sua scrivania.

Ore 9.32. Rapidissima caccia all’edicola. Individuata. Si corre. «Un biglietto per Otranto, Ferrovie Sud Est». Lo sguardo implora: «Si sbrighi, la prego». Preso, si paga, si va. Binario sette. Sottopasso, respiro, si corre ancora. Ecco il binario. E per fortuna c’è il sole. Non una pensilina copre questa lingua di cemento disseminata di valigie e di suole di scarpe pronte a macinare strada. Ecco il treno da Martina Franca: littorina del 1978, vagone unico. Lo stridore dei freni è l’ansimare di un vecchio. Dalla direzione opposta arriva il treno proveniente da Gallipoli. Tre carrozze stavolta, tre “ragazze” di 41 anni ognuna, imbellettate dalla vernice spray di ragazzi annoiati.

Il ventunesimo secolo scende qui: studenti, donne in tailleur con la 24ore, uomini rampanti sbarbati di fresco. Un’occhiata dentro ai vagoni, al volo: sedili di pelle, sudiciume, tanfo di urina. E di nuovo fuori, al sole. Eccolo il nostro treno. È diretto a Gallipoli, ma ci accompagnerà per un pezzo di strada, fino a Zollino. È un “revampizzato”, cioè restaurato. Ma è pur sempre il progresso, bellezza, il riciclo. Fra gli ulivi che danno riparo alle lastre d’amianto, in questa lingua di Puglia che rincorre la raccolta differenziata, si riciclano i treni, prima e meglio dei rifiuti. Avanti, in carrozza, verso il futuro e il profumo del mare. Il treno si avvicina, rallenta, si ferma: un “respiro di sollievo”, fra tanta vetustà su rotaia, riciclato e costato qualche milione di euro alla società del ministero dei Trasporti.

«Chi è diretto a Otranto, scenda a Zollino» avvisa l’addetto Fse a bordo. Un cenno alla coppia seduta accanto. Foulard e occhiali d’osso lei, trench e zazzera canuta lui. Si guardano, ci guardano. Smarrimento. Sono francesi, dello Jura, una piccola regione vinicola della Francia centrale confinante con la Svizzera. Ci dicono che sono diretti a Otranto. «Allora scendiamo e ci andiamo insieme». A Zollino ci accoglie un lungo torpedone di carrozze dismesse. Un cimitero di treni: le rotaie sono tombe, le fronde degli alberi un omaggio verde alla fatica del trasporto. Pochi minuti di viaggio e si arriva a Corigliano. Si riparte, ognuno immerso nei suoi pensieri.

Sul convoglio, una voce elettronica – inaspettato guizzo di contemporaneità in un sistema di annunci basato sul passaparola e sulla diligenza di chi lavora per Fse - ci avvisa che a Maglie si dovrà cambiare ancora, per raggiungere Otranto. Eccoci, dunque. Ancora una volta sulla banchina. Scarse informazioni per tutti, nessuna per chi non conosce la nostra lingua. L’avventura come costrizione e abbandono, non come libera scelta. Ed ecco il treno pronto ad accoglierci per l’ultimo miglio prima della Città dei Martiri: “abito” di vernice rosso e blu, dal 1978. I sedili sono di pelle. La spugna fa capolino dai rattoppi, vecchi anch’essi, intonati al resto. Sotto, cartacce e fazzoletti sporchi. Finestrini giallo paglia: il divieto d’affacciarsi si legge appena.

I francesi Lionel e Annie Frigiolini, insegnanti con radici piemontesi e la passione per i viaggi, sorridono ancora. Ma stavolta è sorriso di sdegno e compassione: «Questo treno è davvero antico – commenta stupito Lionel – ed è incredibile che ci si impieghi un’ora e mezza, e anche di più, per andare da Lecce a Otranto». Quarantasette chilometri in tutto. «Da noi c’è il Tgv, il train grand vitesse che copre i 464,5 chilometri della Parigi-Lione in un’ora, ma per vostra fortuna, qui almeno avete un clima stupendo» chiude Lionel, consolatorio. E hai voglia a lucidare l’orgoglio italico pensando che il Barolo è meglio del Beaujolais, che il gorgonzola batte il roquefort e che avremmo vinto il mondiale 2006 con o senza la testata a Zidane: forse non è di un Tgv che il Salento ha bisogno, ma di una metropolitana di superficie sì.

Di un sistema di trasporto efficiente e funzionante sì. Perché la lentezza può essere una scelta, ma il disservizio non lo è: è sopruso, sciatteria, strafottenza. Di una società pubblica nei confronti dei turisti e di chi paga le tasse. L’amarezza è cattiva compagna di viaggio: allunga il percorso, lo diluisce. Accelera soltanto i pensieri: la Spagna ha treni veloci, la Francia ha treni veloci, il nord Italia ha treni veloci. La bassa Puglia no. Con 85 Comuni raggiunti, la rete di Ferrovie Sud Est non conosce velocità né modernità. Pensieri ad alta voce.

Nel sedile accanto qualcuno ridacchia. Orecchie di turisti hanno raccolto lo sfogo. E il loro sguardo basito si distrae dalla lunga strada ferrata che riporta il Salento indietro di quarant’anni e si scioglie in un’occhiata di approvazione. Conosciamo così Giovanna e Sara. Svizzere del cantone italiano. Amiche da sempre, hanno visitato Lecce. «Stupenda, ma quanto poco sono valorizzati i musei», si stupiscono. Si fermeranno a Otranto qualche giorno. «Non è semplice muoversi per un turista qui da voi – raccontano – e bisogna dire che eravamo state avvisate». L’“avviso” recitava più o meno così: «Terra bellissima, il Salento: mare cristallino, cibo di una volta, tanta cultura, ma anche tanta sporcizia e pochi, pochissimi servizi».

Ancora qualche chiacchiera. Poi l’orizzonte restituisce uno spicchio di blu: il mare. La stazione è vicina e, dall’alto del promontorio dove si trova, sovrasta Otranto. Sono le 10.57. Sara e Giovanna scendono dal convoglio Fse: il loro viaggio proseguirà a piedi, fino alle strade semivuote del borgo. Il nostro prenderà la via del ritorno un’ora e venti più tardi, proprio da questa stazione, stesso binario, stesso treno. Non un bar per bere un caffè e ingannare l’attesa, non una piantina della città o un cenno d’accoglienza per chi arriva o per chi aspetta. Nel diario di questo viaggio sono annotati gli anni trascorsi a inseguire una promessa che nessuno ha mantenuto: trasformare le Ferrovie Sud Est nella metropolitana di superficie delle province di Lecce, Brindisi e Taranto. Sono elencati i Governi, le amministrazioni, i burocrati che hanno detto, annunciato, corretto e promesso ancora, confidando nella pazienza della Puglia come oggi il Salento confida nella pazienza dei viaggiatori, perché restino. E magari, chissà, tornino anche.

In carrozza, ancora, alle 12.20. Si riparte. E giunti di nuovo a Maglie niente e nessuno che avvisi di scendere, di cambiare treno se si vuole tornare in città, a Lecce. Ci si muove per induzione, per intuito. Si improvvisa. Due passi nella stazione, a curiosare fra i volti ridenti dei liceali che si spintonano, a rubare stralci di conversazioni da altre vite, da altre storie, incrociate casualmente lungo questi binari. Poi un dettaglio rapisce l’attenzione: un display Fse per le informazioni. Non funziona, come tutti gli altri che abbiamo notato. Ma qui, sopra questo inutile schermo spento, qualcuno ha appiccicato con il nastro adesivo una cartina del Salento, indicando le principali località turistiche, i tesori nascosti da andare a vedere, i numeri da chiamare per le emergenze. Il segno di un’ironica consapevolezza. Aspettiamo il convoglio da Gagliano per Lecce al primo binario. «Dovremo fare altri cambi?» chiediamo al capotreno, fiduciosi. «Non credo, non lo so. Può darsi che sia un diretto». Può darsi. O forse no.