Vendola, il cinema e la Primavera pugliese: «Rinati con i film di Cirasola»

Vendola, il cinema e la Primavera pugliese: «Rinati con i film di Cirasola»
di Vincenzo MARUCCIO
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Venerdì 17 Novembre 2023, 06:43 - Ultimo aggiornamento: 18 Novembre, 10:55

«Tutti dovrebbero rivedere i suoi film che sono un inno al cinema». Nichi Vendola riavvia la cinepresa dei ricordi e riaccende i riflettori su Nico Cirasola, il regista pugliese scomparso sette mesi fa a cui il Festival del Cinena Europeo di Lecce dedica una retrospettiva. Oggi al Multisala Massimo l’ex governatore sarà ospite per un intervento: per Cirasola è stato anche attore in “Focaccia Blues”, ma c’è molto di più di un simpatico cameo. Nico e Nichi: una “coppia” pugliese che ha cambiato un pezzo di storia.

Cominciamo da lì. Lei era presidente della Regione e le offrì una parte nel film: chi è stato Cirasola?

«Era innanzitutto un essere speciale, un uomo del profondo Sud proiettato nel tempo e nello spazio, un astronauta della creatività, un provinciale cosmopolita, una strana creatura di cui era difficilissimo non innamorarsi. Non ricordo esattamente quando l’ho incontrato la prima volta e questo vuoto di memoria ha una sua spiegazione: Nico era una di quelle persone che avevi la curiosa sensazione di conoscere da sempre, perché con lui entravi subito in “connessione sentimentale”. E poiché il cinema per lui era «la continuazione della vita con altri mezzi», tra una chiacchiera e l’altra mi ritrovai sul set di una docufiction divertente, gustosa e politicamente orientata come “Focaccia Blues”...».

Una focacceria contro il gigante McDonald’s: Davide contro Golia o anche un film politico?

«Appunto, un film politico nel senso più pregnante del termine: non un manifesto di propaganda o un’arringa demagogica, ma una dolcissima satira contro il modello McDonald’s di consumo del cibo, cioè contro il cibo-spazzatura dei fast food, e contro la distorta e cannibalesca economia che lo produce: quella, per intenderci, dei mega allevamenti industriali costruiti sulle ceneri della foresta amazzonica e di qualunque altro eco-sistema, con la natura alterata e sfregiata, l’inquinamento ai livelli che possiamo intuire, le bestie ammassate e ingozzate di organismi geneticamente modificati.

Nel cuore della Murgia pugliese, ad Altamura, l’ambizione coloniale del cibo americano venne umiliata e sconfitta dalla indigena e povera focaccia. Una panetteria contro una multinazionale. Direi una bella storia da raccontare».

Prima di quel film Cirasola aveva già girato “Odore di pioggia” e “Da do da” in cui si affacciava la poesia di personaggi stralunati e antieroici. Aveva senso quel Sud più felliniano che portatore di riscatto sociale?

«Nico era un cantastorie, un poeta della macchina da presa, non era afflitto da intenzioni pedagogiche: sapeva benissimo che la civiltà del racconto, il gusto delle avventure picaresche, la poesia ha un valore educativo di per sé. A Sud non occorre sempre e solo raccontare il dolore e la lotta, l’inciampo e la riscossa. Si può benissimo ridere, sorridere, pregare, sognare, magari guardando il mare: certo, senza mai dimenticare quello che si agita oltre gli orizzonti mediterranei, oggi in verità prigionieri di un orrore senza fine».

Poi, arriva "Albania Blues" e la realtà entra nel suo cinema: i profughi, l'immaginario dei nostri dirimpettai legato alla tv, la malavita cambiata. Tutto nuovo. Che Puglia era diventata?

«Una Puglia peculiare, antica nella vocazione alla mescolanza di lingue e popoli, terra di attraversamenti e di innesti di culture, estranea alle pulsioni xenofobe che hanno attecchito in altre parti d’Italia. Ma anche terra moderna, in senso buono - l’ansia di innovazione e di sperimentazione sociale che diede vita a quella che chiamammo “Primavera pugliese”, ma anche in senso cattivo, nel senso dei fenomeni di devastazione ambientale e di penetrazione di imprenditoria e di sub-cultura mafiosa».

Il film “Bell'epoker”, invece, ritorna alla tragedia del Petruzzelli e anticipa quello che giornali e tv ci avrebbero raccontato dopo: balli, partite a poker e prostitute di una borghesia avida ma anche la corruzione di una certa politica. Vendola, funziona ancora così in Puglia e in Italia?

«Un bellissimo spaccato della storia sociale di una città che un secolo prima costruisce il maestoso teatro Petruzzelli e un secolo dopo lo manda a bruciare: Il film coglie i due tempi di una borghesia nella sua fase ascendente con l’ambizione di essere classe dirigente di un territorio aperto al futuro, e poi della sua fase di degrado affaristico, talvolta in “concorso esterno” con la malavita».

Con “Rudy Valentino” Cirasola ci racconta il sogno impossibile del ritorno del divo nella sua Castellaneta. Ha davvero inaugurato una “via pugliese”?

«Rodolfo Valentino riportato a casa è un’altra trovata geniale di Nico, un modo di approcciare un mito liberandolo dalla mitologia, e di alludere a ciò che il mito talvolta metteva in ombra: il punto di partenza, l’emigrazione, il natio borgo selvaggio dietro il successo planetario, Castellaneta dietro Hollywood. Non sono un critico cinematografico, non so cosa significhi parlare di “cinema pugliese”. La Puglia è anche cinema, in tutti i sensi: come seduzione delle location, come ricchezza di festival, come industria, come formazione delle maestranze, come elemento-chiave della promozione di una immagine della regione non relegata al folclore o, peggio, alla cronaca nera».

La retrospettiva di un regista barese presentata a Lecce vuol dire che esiste una Puglia oltre i campanili. Perchè dovremmo rivedere i suo film?

«Semplicemente perché sono belli e perché sono, ciascuno a modo suo, un inno al cinema».

Torniamo all'inizio, torniamo all'uomo. Generoso, umano e molto altro. Cosa le resta dell'amico Nico?

«Il rimpianto di averlo frequentato poco, in modo saltuario e occasionale: ma ogni volta che lo incontravo, fosse anche per caso, mi comunicava un senso di festa. Sapeva sedurre con la sua umanità senza retropensieri, con il suo umanesimo radicale, con la sua semplicità quasi evangelica, con il suo sorriso sempre pronto all’ironia. Era davvero un essere speciale».
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