Claudia De Lillo: «Con la mia Elasti, il coraggio di mostrarsi interamente alle altre donne»

Claudia De Lillo: «Con la mia Elasti, il coraggio di mostrarsi interamente alle altre donne»
di Leda CESARI
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Martedì 22 Agosto 2023, 05:50 - Ultimo aggiornamento: 16:24

In terrazza per raccontarsi, per raccontare le donne degli ultimi anni: impegnate, consapevoli, elasti… che, ma non troppo. La rassegna itinerante sui tetti delle dimore più fascinose di Minervino, Cocumola e Specchia Gallone, organizzata dal Comune e diretta dalla giornalista Elisa Forte - titolo “10 letture per 10 terrazze” - offre nuovi spunti di riflessione stasera alle 21 con il libro “Elasticamente parlando. Amore, viaggi, ansie, famiglia, scoperte, gioie, pianti, vita: un diario pubblico” (Tea). A presentarlo l’autrice, la giornalista, scrittrice e conduttrice Rai Claudia de Lillo - alias Elasti, appunto - che dalla prospettiva diversa della Terrazza della Mammana di piazza Umberto I a Minervino farà il punto sulla situazione femminile (e non solo) distillata in dodici anni di articoli sulla sua rubrica sul settimanale “D” di Repubblica. 
Elasti.. che, fino a che punto? 
«Lo racconto appunto nel mio ultimo libro, una selezione di articoli su dodici anni di vita familiare e femminile che è solo la mia. Dodici anni di storia delle donne, del nostro percorso verso la consapevolezza, di una conciliazione che è diventata condivisione… semi che hanno prodotto una rivoluzione che oggi è un dato di fatto, e il libro è un modo per fare il punto su dove siamo arrivate».
E dove siamo arrivate? 
«Le donne hanno fatto grandi passi avanti sulla strada della consapevolezza, anche se il corpo femminile resta ancora un luogo da predare. Dagli uomini, per esempio, non pretendiamo più un aiuto, ma la condivisione delle attività familiari, e credo che su questo anche loro siano cresciuti. E non solo su questo: i trentenni di oggi, per esempio, sono più risoluti nel rivendicare il diritto di fare avere un’occupazione gratificante, anche se meno sicura del posto fisso: non sono a servizio del lavoro come posso essere io che ho 53 anni».
Una bella svolta su questo l’ha data la pandemia..
«Il lavoro non può essere una condanna, deve essere parte della vita da plasmare a propria immagine e somiglianza. La dignità personale non passa solo da un lavoro purchessia: meglio fare le cose che ci piacciono, che si somigliano».
Senza pretese di perfezione… Ma non eravamo quelle multitasking, noi donne?
«Anche questa è una trappola inventata dagli uomini per delegarci ogni responsabilità. Come il mito delle donne creature capaci di conciliare mille cose, della maternità come valore assoluto: sono grandi cazzate che hanno consentito agli uomini di continuare a fare i loro comodi, e noi, galvanizzate dall’idea di poter fare mille cose in contemporanea, ci siamo cascate. Non siamo perfette, non dobbiamo necessariamente saper fare tutto e bene. Al lavoro do quello che serve, e se non so cucinare pazienza: lo farà qualcun altro per me. Imperfette e felici».
Pur evidentemente superiori agli uomini? (ride accogliendo la provocazione)
«Non dobbiamo più dimostrarlo. Abbiamo secoli alle spalle a dirlo».
Chi si riconosce di più nei suoi articoli, le casalinghe disperate o le donne in carriera sull’orlo di una crisi di nervi?
«Ho cercato di mettere insieme una storia che fosse mia e che però avesse anche una valenza universale, perché la condivisione crea meccanismi virtuosi benefici per tutti: nel mio barcamenarmi per appartenere a entrambe le categorie si riconoscono un po’ tutte, anche le donne senza figli. Io credo molto nella sorellanza, il fatto che le donne siano sempre pronte a farsi le scarpe a vicenda è una grande bugia: se tu parli di te con onestà la cosa risuona nella testa e nella pancia delle altre donne».
Anche a costo di sembrare un po’ meno perfette> 
«Anche a costo di non mostrarsi sempre al top pur di essere noi stesse. Lo dico sempre: donne, rilassiamoci! Io per prima sono una donna normale, e siccome non sono una soubrette mi sento libera di mostrarmi sui miei social anche struccata e spettinata. Non per ostentare sciatteria, che non va bene neppure, ma per mostrare la mia quotidianità: è un altro tipo di bellezza».
Come quella di non sentirsi fuori posto se non si è madri, per esempio. 
«Un’estetica della maternità mostruosa sia per le madri che per le non madri: conosco madri per nulla materne e non madri che lo sono moltissimo. Il senso della cura o ce l’hai o non ce l’hai, prescinde dall’essere biologicamente madri».
Perché il mondo fatica ancora a darci quello che meritiamo? «Perché purtroppo noi per prime siamo figlie di una società patriarcale che ha governato per millenni, imponendoci il ruolo di quelle che devono essere belle e zitte. Questo percorso non è semplice ed è costellato di errori, come l’idea che libertà sia quella di denudarsi, cosa che invece denota scarso rispetto di sé e del proprio corpo… ma siamo ancora in fase di transizione, su questo cammino».
Come educhi i tuoi tre figli maschi in proposito?
«È una responsabilità enorme, quella di crescere uomini perbene: eppure dobbiamo farlo per regalare al mondo e alle donne del futuro uomini capaci di accompagnarle in questo cammino evolutivo. Perché ciò che manca oggi è l’alfabetizzazione affettiva ed emotiva del maschio: questa è la sfida tremenda con cui ci misuriamo. Altrimenti…».
La cronaca dello stupro di gruppo ci dice cosa succede altrimenti. Non sarà un poco tutto questo colpa dell’educazione impartita dalle madri? 
«Pure questo è colpa nostra? E le responsabilità dei padri? Dobbiamo liberarci da quest’idea malsana di essere colpevoli di tutto, noi donne. Perché noi educhiamo, ma i padri danno l’esempio. Lo vedo appunto con i miei figli: vogliono somigliare a mio marito, non a me».

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