Da Gramsci ad oggi: i cent’anni de “L’Unità”

La copertina del libro
La copertina del libro
di Antonio MANIGLIO
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Lunedì 15 Aprile 2024, 05:00

“Il fiume della Storia trascina e sommerge le piccole storie individuali, l’onda dell’oblio le cancella dalla memoria del mondo. Scrivere significa risalire la corrente, ripescare esistenze naufragate..” (Magris). Lo ha fatto Roberto Roscani con “L’Unità. Una storia, tante storie” (Fandango), pubblicato per i 100 anni del giornale fondato da Gramsci dove i fatti del mondo e la storia d’Italia, la grande politica e le lotte sociali, la cultura e le biografie personali sono raccontati dal di dentro, con una partecipazione sentimentale che nulla toglie al rigore dei fatti.

L'edizione della domenica

La domenica era il giorno della diffusione straordinaria dell’Unità. E i militanti del Pci, da Milano a Leuca, andavano a suonare campanelli per ricevere “cento no e qualche sì”. Ma raccoglievano anche gli umori e i problemi del vivere quotidiano. Una scuola politica di strada. Così quel giornale, “con la stampa ancora fresca da sporcarsi le mani” è entrato in milioni di case. E soprattutto in quelle di operai e braccianti, molti dei quali analfabeti. Può sembrare una nota di folklore. Ma tutto aveva un senso in quel mondo di certezze. Era anzitutto contro natura non sostenere il giornale del Partito che difendeva la dignità dei lavoratori. Ma c’era anche lungimiranza. Quei “cafoni”, qui in Puglia, anche se non avevano addosso la povertà come ai tempi dell’occupazione delle terre, erano stanchi di faticare senza orari, senza diritti e con salari da fame. Volevano un futuro diverso per i loro figli. E proprio loro, che non avevano fatto neppure le elementari, scoprirono il valore dell’istruzione e, senza saperlo, condivisero il pensiero di Don Milani (“Un operaio conosce 100 parole, il padrone 1000. Per questo lui è un padrone”).

Le nuove generazioni

L’Unità diventava il primo strumento di formazione e di apertura al mondo per una nuova generazione, i figli di chi non aveva studiato, che avrebbe rafforzato il Pci e resa più moderna e più giusta l’Italia. Il percorso del quotidiano comunista procede in parallelo a quello del partito. Soprattutto dopo il cambiamento impresso da Togliatti, che puntava a fare de l’Unità “il Corriere della Sera del proletariato”. Per questo ogni mattina, in una logica di “libertà vigilata”, il segretario vergava i suoi biglietti, scritti sempre con l’inchiostro verde, “che non contenevano mai un complimento” e spaziavano su tutto, finanche sul carattere tipografico degli articoli. Una scommessa riuscita. L’Unità vendeva 230mila copie al giorno e la domenica arrivava a un milione. Numeri inimmaginabili oggi, con il primo quotidiano (il Corriere della Sera) che a gennaio 2024 si è fermato a 209mila copie. La forza del giornale stava nella “mitica” organizzazione del Pci, ma era anche merito di chi ci lavorava. E qui Roscani traccia una serie di profili professionali illuminanti. Il primo è quello di Arminio Savioli che nel 1962 fece un’intervista a Fidel Castro (“stampata integralmente anche sul New York Times”) in cui si affermava per la prima volta il carattere socialista della rivoluzione cubana. Uno dei capitoli è dedicato ai “Democristiani all’Unità”, giornalisti che avevano abbandonato la Dc per scrivere sull’organo del Pci. Un nome per tutti: Mario Melloni, il leggendario Fortebraccio che per anni avrebbe sferzato avversari (“Si aprì una porta e non entrò nessuno: era Cariglia”) e “lor signori” (i padroni); poi Lucio Magri, Ugo Baduel (resocontista di Berlinguer), Bruno Ugolini che arrivò dalla diocesi di Brescia (“Non sono diventato comunista per una qualche scuola di catechizzazione.

Sono diventato comunista vivendo”).

La guida del partito

Ma, come era naturale, la guida indiscussa spettava al Partito. I direttori erano sempre dirigenti di primo piano: da Ingrao a Pajetta, da Chiaromonte a Macaluso, da Reichlin – esiliato nel 1962 (“mi dimisero dall’Unità per dissensi politici e fui spedito in Puglia”) - a D’Alema e Veltroni. E tra questi Mario Alicata.

Anche l’Unità però inciampò sui tornanti aggrovigliati della storia. Come accadde nel 1956 quando, di fronte all’invasione sovietica dell’Ungheria, un editoriale di Ingrao affermava di stare “da una parte della barricata”, quella dei carri armati e non con gli operai e gli studenti che furono trucidati. I legami con l’Urss erano ancora saldi. Si sarebbero allentati, ma non dissolti, con la condanna dell’aggressione dell’Urss alla Cecoslovacchia nel 1968. Ma anche allora, secondo la ricostruzione del direttore dell’epoca (Maurizio Ferrara), la “gran massa del partito era dall’altra parte”.

Ma l’Unità è stato anzitutto il giornale dei lavoratori, in prima linea nel sostenerne le lotte e fare inchieste straordinarie sulla condizione operaia al nord (“Qui alla Fiat – scrive in un reportage del 1978 proprio Roscani - ogni anno ci sono decine di lavoratori che finiscono in casa di cura per crisi depressive. La catena di montaggio buca il cervello”) o nel profondo sud (“Nei calzaturifici del leccese non c’è posto per la salute”, luglio 1983). Tuttavia i cambiamenti sociali – segnati dalla sconfitta alla Fiat del 1980 e dal referendum sulla scala mobile del 1984 - incalzano e rendono più fragili le storie di ieri. Non soffia più “il vento della Storia”. E sotto i muri che crollano, le guerre che tornano a lampeggiare, il populismo becero e trionfante sprofonda la promessa delle promesse che ha animato la vita di milioni di persone: quella di cambiare il mondo. “Ma – ammoniva Cassano - bisogna resistere alla tentazione di scomunicare il mondo che viene, di sublimare una vecchia gioventù a danno di quella successiva”, anche se “la diceria che di intenzioni è lastricata la via dell’inferno è maligna. Deludenti ed effimeri sono gli esiti. I buoni proponimenti sono invece un polline che non fiorisce mai ma profuma l’aria” (L.Pintor). La generosità nell’impegno politico, le lotte per l’eguaglianza e la giustizia sociale di qualche decennio fa, ossia l’impronta identitaria de l’Unità, hanno profumato l’aria e resa più democratica e forte la Repubblica, preservandola anche dal vile stragismo fascista e dal terrorismo brigatista. E allora il “Triste, solitario y final” dell’ultimo capitolo, per quanto amaro, rende ancora più bella una storia unica che meritava di essere raccontata. “Quella dell’Unità è una storia nella Storia d’Italia e dentro – come in una matrioska - ci sono le storie di chi l’ha scritta e di chi l’ha letta, di chi l’ha diretta e di chi l’ha diffusa, di chi l’ha portata con orgoglio, piegata in tasca o ostentata alle manifestazioni, di chi ha imparato a leggere sfogliando quel giornale…”. E riemergono, illuminanti, chissà per quale viaggio emozionale, i versi di Umberto Saba: “Passioni / Sono fatte di lacrime e sangue/ e d’altro ancora./ Il cuore batte a sinistra.”

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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