Ghirelli non ha dubbi: «Vaccini obbligatori per uscire dall’inferno»

Ghirelli non ha dubbi: «Vaccini obbligatori per uscire dall’inferno»
di Giuseppe ANDRIANI
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Lunedì 10 Gennaio 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 10:21

In Serie C un elemento dei vari gruppi squadra su dieci è positivo, per la precisione si tratta dell’11%. Sono contagiati 250 calciatori su 1.700 in totale. E la Lega ha deciso di rinviare prima (era il 31 dicembre) la ventunesima giornata, poi anche la ventiduesima. Mettere tutti in bolla, evitare contagi con le partite e aspettare le prossime mosse di governo e istituzioni sanitarie. Il presidente della Lega Pro, Francesco Ghirelli (anche consigliere e membro del comitato di presidenza della Figc), mercoledì incontrerà il Governo nella conferenza tra l’esecutivo e le Regioni, su invito del sottosegretario allo sport, Valentina Vezzali. Sarà quella la giornata campale, ma intanto si cerca di far chiarezza su cosa succederà: la Lega di A ha varato la stretta sugli spettatori (massimo 5.000 dal prossimo weekend), dopo la chiamata del Premier al presidente della Figc Gravina. E il calcio si interroga su cosa, adesso, potrà cambiare. Ripartire o no? Quando? E soprattutto: come? Interrogativi, ai quali Ghirelli risponde un po’ come sempre con la schiettezza di sempre, senza difensivismi da politico di lungo corso e con il rilancio della sua soluzione: l’obbligo vaccinale.

Presidente Ghirelli, prima domanda inevitabile: si giocherà davvero il 23?
«Questa è una domanda difficile. Io spero di sì. Mercoledì abbiamo l’incontro con il governo, avremo le indicazioni sulle linee per quarantena e vaccini. Poi la Figc, con il Comitato tecnico scientifico, sta studiando il protocollo sanitario. A meno che non vi sia un peggioramento della situazione epidemiologica, penso che potrebbero esserci le condizioni per tornare a giocare».

Quindi ci sarà un nuovo protocollo, unico per tutto il calcio?
«Sì, un protocollo che riprenderà quello dello scorso anno, con due novità: i vaccini e la quarantena, che credo sia la vera chiave della situazione al momento».

Cioè?
«Lavoriamo su quello che vale per tutti nelle attività produttive: se un lavoratore è vaccinato e ha avuto contatti con un collega positivo, non scatta la quarantena. Questo garantirebbe la possibilità di poter giocare».

Però secondo il decreto del Governo, pur senza quarantena bisognerà indossare le mascherine sul posto di lavoro. E quindi in campo. Come si aggira l’ostacolo?
«Essendo il sistema calcio equiparato alle attività produttive, ogni attività produttiva ha una propria specificità. Il calcio non è soltanto sport. Quindi si tratta di capire quali saranno le condizioni specifiche del calcio come attività produttiva. Questo lo capiremo con la conferenza Stato-Regioni di mercoledì, alla presenza del presidente Draghi».

Siete stati invitati su iniziativa del sottosegretario allo sport, Valentina Vezzali. Un bel gesto.
«Sì, certo. Potevano anche solo invitare la Figc e il Coni, perché ci rappresentano. Il fatto che l’invito per questo incontro sia stato esteso alle leghe, che sono gli organizzatori dei vari campionati, e alle federazioni degli altri sport, è sicuramente un segnale di unità per tutto il nostro mondo. Sì, ci fa piacere, siamo contenti di questo».

Due settimane di stop in Serie C. Servono a trovare una soluzione o a cos’altro?
«Lo stop serviva a creare una bolla in cui i calciatori non sono sottoposti a spostamenti, hanno la possibilità di restare nella propria città e di controllarsi meglio a vicenda. Con il professor Braconaro, che è il nostro responsabile scientifico, abbiamo optato per questa soluzione per provare ad abbassare i contagi. E poi volevamo evitare che il virus colpisse negli stadi. Quando c’è una partita, c’è un’aggregazione di tifosi. E questo sicuramente aumenta le possibilità di contagio. E poi avevamo anche bisogno di capire di più su quello che sta succedendo».

A proposito di stadi: in Serie A subentrerà il limite di 5.000 spettatori a partita. Può essere una soluzione per tutti?
«Quella è un’ipotesi della Lega di Serie A, ne hanno fatte diverse. Però bisogna ragionare a sistema. Il fatto che abbiano convocato un tavolo al quale parteciperemo tutti quanti vuol dire che c’è voglia di ragionare da sistema, mi sembra questa l’unica soluzione possibile per venirne fuori tutti insieme».

Ma lei è favorevole al limite dei 5.000 spettatori?
«Il problema non è se essere favorevoli o meno a questa ipotesi. Le autorità scientifiche e sanitarie ci devono dire qual è la situazione e sulla base di quella, noi agiremo. Sapendo che in caso di ulteriori restrizioni sui posti negli stadi, quindi a un ulteriore colpo dal punto di vista economico sulle società, bisognerà introdurre i ristori, a cominciare magari dal credito d’imposta».

Ristori che spetterebbero al Governo, non alla Lega. Giusto?
«Beh, certo (sorride, ndr). I ristori devono arrivare dal Governo, come ha fatto per altre attività produttive nel corso di questi mesi».

Anche perché il calcio in questi mesi ha perso fior di quattrini. E la Lega Pro, forse, ancor di più.
«Hanno perso tutti tantissimo, ma immaginate la nostra situazione. Noi ci reggiamo sui botteghini e sugli sponsor, per noi chiudere gli stadi vuol dire chiuderci le due fonti principali. Gli sponsor investono se la gente va allo stadio, non abbiamo l’ampiezza della copertura televisiva della Serie A, per esempio. Noi abbiamo bisogno della gente negli stadi, altrimenti il sistema diventa sempre più fragile».

Lei sostiene l’obbligo vaccinale per gli atleti e per tutti i componenti dei gruppi squadra ormai da tempo. Oggi sembra una tendenza ormai per tutti, si ragiona su questo. Aveva avuto ragione, quindi?
«Quando succede una cosa di questo genere, ognuno di noi può portare un minimo di esperienza, poi la situazione è sempre complessa, complicatissima. Ma sostengo l’obbligo vaccinale da diverso tempo perché è una questione di rispetto per se stessi e per gli altri. Non è un problema di democrazia, la democrazia è un’altra cosa. La salute è più importante. Il virus non guarda la libertà, anzi colpisce in maniera sempre più dura, noi dobbiamo farci trovare pronti».

Questa sarà la volta buona per introdurre una norma che obblighi gli atleti a vaccinarsi?
«Spero proprio di sì. Non credo che si possa arretrare rispetto a una cosa di questo genere, sarebbe davvero delittuoso».

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