Un passo a tre nella danza. Così i talenti (Di Lecce) ballano sul mondo

Veronica Frisotti e la madre Maria Rosaria Di Lecce
Veronica Frisotti e la madre Maria Rosaria Di Lecce
di Rosario TORNESELLO
6 Minuti di Lettura
Domenica 19 Maggio 2019, 20:43
Anche se fuori il cielo è grigio, una costante in questo maggio balordo e perciò molto novembrino, cascame meteorologico della stagione del gran caos e della mistificazione, qui dentro rimbalza il sole. Saranno le vetrate ampie, le pareti bianche, la lampada a specchio che si illumina a comando, i trofei che luccicano, il parquet candido per quanto vissuto. E i sorrisi, soprattutto, i sorrisi, che faranno anche parte dell’armamentario di una postura innata, come le spalle distese, il collo alto, i gesti morbidi, le braccia leggere, e però da soli riempiono la scena, accolgono e accompagnano. La buona educazione ha corollari inevitabili. Può essere. Non darlo per scontato, tuttavia, ti mette al riparo quanto basta per restarne sempre sorpresi. Qui, di madre in figlia, il sorriso raddoppia. E dire che non ci sono le sorelle, le nipoti, le allieve, ché altrimenti... Il tempo vola, separa, anticipa, annuncia, ammicca, rimanda. Ma la mattina, qui almeno, è il tempo della quiete. In compenso, in un angolo della sala fa buona guardia Ugo. Un esempio. Un memento. Un compagno di giochi.

Nella sede del Balletto Di Lecce se entri in punta di piedi sei già a metà dell’opera. Quanti riferimenti condensati in una frase sola. Potere delle immagini. Di Lecce è un cognome, non un’indicazione stradale (oddio, in realtà - volendo - lo sarebbe anche). In punta di piedi, invece, è il tratto distintivo della danza (non del ballo, che è altra cosa, almeno fin qui ci siamo), il suo segreto, insomma; il punto di equilibrio. E l’opera, beh, l’opera è uno degli approdi possibili, forse il più prestigioso. Di sicuro una meta, un traguardo. Si studia anni per arrivarci. E questa scuola, transitata per diverse stagioni e denominazioni, ha superato il mezzo secolo di insegnamento (e, abbondantemente, la soglia dei diecimila allievi).

Si entra in punta di piedi proprio per questo: non per simulare grazia e movenze mai avute, e nel caso smarrite in gioventù, ma per rendere omaggio a questo santuario dell’arte. Poi, siccome le articolazioni risentono del tempo - e non nel senso atmosferico, che tuttavia col suo carico di umido pure giustificherebbe la ruggine - non vale nemmeno la pena simulare un’entrata spiritosa e spavalda con l’en dehors, quella rotazione esterna dell’anca che porta con nonchalance i piedi a guardare all’infuori, movimento base per tutte le posizioni classiche. Una buona esecuzione dell’en dehors, dicono i manuali, fa parte della corretta impostazione. Una pessima, invece, blocca il corpo e, con esso, incricca l’intervistatore e l’intervista, perciò addio tutto. Meglio evitare. Ugo, da lontano, concorda.

Maria Rosaria Di Lecce è la padrona di casa insieme con sua figlia, Veronica Frisotti. Maestre della scuola, prima e seconda generazione, 74 e 45 anni. La terza leva sgambetta già ad alti livelli: la primogenita di Veronica, Stellamaya Epifani, 18 anni, dopo aver studiato in famiglia, alla Escuela Victor Ullate di Madrid e alla Scala di Milano, ora è quasi al diploma presso la European School of Ballet di Amsterdam; la piccola, invece, Anita, nove anni appena, fa ancora pratica con mamma e nonna. Prima o poi anche per lei arriverà il grand jeté, il grande balzo. (Dice: ok, va bene tutto, ma perché questo profluvio di francese? Semplice: è la lingua della danza, qui e altrove, per via della codificazione fatta nella seconda metà del Seicento da Luigi XIV, le Roi Soleil, così chiamato proprio per aver interpretato il “Sole nascente” nel Ballet Royal du Jour et de la Nuit, nel lontano 1653. Vous avez compris? Tuttavia, a scanso di equivoci, Ugo non è Hugo, altrimenti sarebbe altro tema e diverso genere artistico. Vabbè, divagazioni).

Questa scuola è il frutto di un incrocio magico. «L’amore per la bellezza ereditato da mia madre e lo spirito di concretezza, insieme con la capacità organizzativa, di mio padre», spiega Maria Rosaria. Che per sé riserva una sola qualità: «Sono una guerriera», declama. Con un segreto, però: «In tutte le cose, la pazienza è la chiave della vittoria». Cinque anni fa Paolo Conte l’ha voluta nel video di “Tropical”, interamente made in Salento. Una dote un po’ innata, la sua, e molto ereditata: la mamma, Stella Primiceri, insegnava taglio e cucito; il papà, Carmelo, era vicedirettore dell’Enal, Ente nazionale di assistenza ai lavoratori nel tempo che fu; l’una e l’altro, insieme, grandi appassionati di ballo e musica. Così eccoci qui. I figli, tutti, hanno interpretato ciascuno a modo proprio una stessa identica vocazione: Sabrina, Luciana, Antonella, Maria Rosaria e Giorgio, unico maschio, scomparso nel 2013 a soli 50 anni, docente di Storia della danza a UniSalento e fondatore con Imma Giannuzzi, alle origini della riscoperta della Taranta, di “Arakne Mediterranea”. Quanto a Maria Rosaria, lei ha assecondato il desiderio di papà per il pezzo di carta, la laurea, conseguita in materie letterarie. E il genitore ha assecondato la sua passione, e quella delle sorelle, per la danza. Giovanissime, brave e subito premiate. Nel 1965 la selezione in Rai per “Mare contro Mare”, gara in tv con le gemelle Kessler, Silvana Pampanini e Domenico Modugno: dalla famiglia Di Lecce si presentano in tre, ne bastava una; ma regista e coreografo reclutano in blocco Maria Rosaria, Antonella e Luciana. A Taranto la squadra del Sud sbaraglia la concorrenza di La Spezia per il Nord. Medaglia d’oro. Chapeau.

La svolta qualche anno più tardi, quando Maria Rosaria entra a Monte Carlo nell’esclusiva Académie de danse classique “Princesse Grace”, la migliore in Europa, per studiare alla corte di Marika Besobrasova. Stage tre volte l’anno e lezioni per un mese difilato in estate. Quel metodo da allora, 1979, è il suo metodo. Diversi livelli, 20 lezioni ciascuno. Si comincia a sei anni, si finisce a 18. Passione e disciplina, insieme con la pazienza. «Antica sapienza russa. In realtà è un modo di declinare l’amore. Su questo c’è grande intesa con i genitori», spiega la fondatrice. All’inizio era Centro danza Tersicore, in viale don Minzoni; poi è divenuto Danza Salento, in via Cavour, quindi Balletto Regionale Pugliese e infine, semplicemente, Balletto Di Lecce, qui in via della Cavalleria. Una storia lunga 54 anni. Piena zeppa di nomi di ragazzi e ragazze passati da qui. Solo a mo’ di esempio: Danilo Mazzotta, primo ballerino dell’Opera di Bonn - Germania; Donata Diaferia, solista del Ballett Royal de Wallonie - Belgio; Alba Manola, solista del Balletto di Lipsia - Germania; Fredy Franzutti, direttore artistico del Balletto del Sud a Lecce; Elena Marzano, ballerina presso la Compagnia Teatro alla Scala di Milano. E poi lei, Veronica, ballerina e coreografa internazionale, solista in spettacoli di Maurice Bejart, Lindsay Kemp e Micha Van Hoecke, diversi premi e, con la madre, membro del Conseil international de la Danse dell’Unesco, a Parigi. «La passione messa a dura prova produce risultati notevoli», dice la giovane. La mamma non le ha imposto nulla, assicura. «È stato tutto molto naturale, per me come per le mie figlie». La controprova è il fratello, Guido, cinque anni più giovane, manager a Barcellona, niente danza né ballo.

E infine Ugo. Già, lui. Se ne sta buono buono in un angolo della sala in questo studio da 600 metri quadri distribuiti su due piani, progettato e arredato dal marito di Veronica, Salvatore Epifani, designer. È uno scheletro, Ugo, ma non per via della fatica, né per il rigore o la disciplina, né per il monito severo della bilancia piazzata strategicamente accanto al dispenser degli snack. È proprio uno scheletro (ok, una riproduzione). Per grandi e piccoli, un compagno di giochi e uno strumento di lavoro: mostra come agisce l’en dehors, spiega come si muovono le articolazioni, fa vedere, insomma, cosa succede dentro il corpo quando, fuori, il danzatore si cimenta con il salto nel brisé, la flessione nel cambré, i piegamenti nel plié... Snodati, non dinoccolati. Una differenza illuminante. Anche questo, nella danza, a suo modo è sole. Con re o senza re.

 
© RIPRODUZIONE RISERVATA