L'analisi/Renzi “cede” a Emiliano la leadership del partito in Puglia: come cambiano gli equilibri

L'analisi/Renzi “cede” a Emiliano la leadership del partito in Puglia: come cambiano gli equilibri
di Francesco G.GIOFFREDI
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Domenica 28 Gennaio 2018, 17:29 - Ultimo aggiornamento: 17:49
Bisognerebbe imparare ad ascoltare i silenzi, per esempio. Anche in politica, luogo della sovrabbondanza verbale e dell’ipertrofia dialettica. Ecco: da mesi Matteo Renzi e Michele Emiliano hanno accantonato il dizionario delle parole di fuoco. Niente più reciproche sventagliate di accuse (e magari offese), persino qualche timido gioco di sponda. Roba mai vista. La tesi più in voga era allora pressappoco questa: segretario e governatore hanno battezzato l’accordo sulle candidature alle politiche. Le settimane sono corse via tra indiscrezioni, voci, falsi allarmi, scetticismo e - appunto - lunghi silenzi. Le liste svelate ieri dal Pd spiegano, con una certa schiettezza, cosa è successo: nel sistema di pesi e contrappesi, nel risiko delle candidature, sulla mappa di territori e fortini e sul pannello degli uscenti sacrificabili, Renzi ha ceduto per larga parte la Puglia a Emiliano. Anche a costo di penalizzare qualche fedelissimo e di scatenare violente rivolte locali. La polpa è qui, il resto è sovrastruttura. E allora suona paradossale e tattica la reazione ufficiale di Emiliano, che nella notte dei lunghi coltelli dem intima ai suoi di disertare la Direzione Pd e di non votare l’ok alle liste (anche quelle pugliesi), borbottando che «è stata premiata la fedeltà al leader» e che in sostanza le minoranze interne sono state bistrattate.

L'accordo. A qualcuno ha ricordato un precedente illustre: proprio un anno fa, quando si consumò la scissione di bersaniani e dalemiani, in 24 ore il governatore passò dal palco degli scissionisti (la celebre foto con Roberto Speranza ed Enrico Rossi) alla tormentata ricucitura con Renzi. Emiliano doppio gusto, all’epoca come ora. Ecco, a sfogliare l’elenco di candidati pugliesi, la minoranza del governatore non sembra bullizzata - anzi: tre capilista su sei sono di stretto rito emilianiano, gli altri tre - per curriculum e relazioni - non risultano certo sgraditi al governatore, un paio di secondi piazzati nei listini hanno chance d’elezione e sono d’area Emiliano, proprio come più di qualche alfiere nei collegi uninominali. Insomma: più che una tregua armata tra governatore e segretario, di cui s’è favoleggiato per mesi, parrebbe uno patto di ferro, che in una notte spazza via tutta la letteratura sulla guerriglia Matteo-Michele, sul “così uguali e così diversi” e sul refrain “inconciliabili perché assetati allo stesso modo di carisma”. Naturalmente però alla radice c’è anche altro: di certo c’è il riconoscimento da parte del segretario della leadership pugliese del governatore, ormai impossibile da negare ed eclissare (in primavera qui vinse pure il congresso nazionale). A tutto il resto ci hanno pensato le complesse alchimie di partito e gli oscuri meccanismi psicologici che governano le più logoranti trattative: Renzi ha dovuto sfrondare e tagliare (la proiezione è di circa 150 parlamentari in meno rispetto al 2013), alle minoranze ha proposto numeri appena da testimonianza, a Emiliano a quel punto interessava perlopiù presidiare e puntellare il grumo di potere e radicamento pugliese, e allora avrà chiesto che larga parte del bottino di candidati blindati venisse concentrato qui, a casa sua. Un ruolo non marginale nel congegno delle liste l’avrà avuto anche Antonio Decaro: il sindaco di Bari, e presidente nazionale Anci, è un ufficiale di collegamento del “giglio magico renziano” in Puglia. Non solo: seppur tra gli alti e bassi del rapporto, Decaro non spezza mai del tutto lo storico filo con Emiliano.

Chi vince. È una corsa al “si salvi chi può”, per Renzi e per Emiliano: tu, Michele, non mi fare troppo la guerra; e tu, Matteo, dammi spazi di manovra pugliesi. Chi vince e chi perde con questa infornata di candidature? Come cambiano gli equilibri? La radiografia dei nomi blindati agevola la lettura. I capilista, prima di tutto. Gli emilianiani sono il presidente della Commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia, originario di Bisceglie ma dirottato nel collegio camerale più a sud della Puglia; Assuntela Messina, presidente del Pd regionale, alla prima vera candidatura; Ubaldo Pagano, segretario del partito a Bari e anche lui con la valigia in direzione Taranto-Brindisi. Renzi ha persino buttato giù il boccone Boccia, a cui pare avesse giurato vendetta dopo le scintille sulla Legge di Bilancio. Non va male a Emiliano nemmeno con gli altri tre capilista. Marco Lacarra, segretario regionale Pd e in testa al listino a Bari, è un renziano vicino a Decaro, ma da uomo di mediazioni non brilla certo per militanza anti-emilianista. Il neo-renziano Dario Stefàno, nel Pd da qualche mese, capolista salentino al Senato e parlamentare uscente, contribuisce alla maggioranza regionale di centrosinistra con un assessore e due consiglieri, e per lui Emiliano ha sempre speso parole di stima. L’orlandiano Michele Bordo, altro uscente, è uno dei contraenti (l’altro è il governatore) del “patto di segreteria provinciale” stretto a Foggia. Bisogna poi aggiungere alla contabilità di Emiliano due secondi piazzati eleggibili nei listini del Senato (Sandra Antonica e Dario Ginefra), e un buon numero di concorrenti agli uninominali che magari non saranno eletti, ma comunque si ritaglieranno visibilità.

E chi perde. E viceversa chi perde, o esce ammaccato, da questo primo round? In ordine sparso: in parte Teresa Bellanova, poi una corposa fetta di uscenti e infine Taranto, Brindisi e per certi versi Lecce. Bellanova, pubblicamente incensata a più riprese da Renzi, presidio a sinistra del renzismo e dell’ortodossia di governo e marcatrice stretta di Emiliano nelle fasi più buie, era indicata come capolista intoccabile in Puglia: la sua esclusione è eclatante. D’accordo: verrà comunque eletta, peraltro in un collegio dall’alto valore simbolico (Bologna, dov’è capolista e dov’è stata richiesta dai dirigenti locali), ma il cortocircuito resta. Oltretutto la viceministro dovrà cimentarsi in una sfida dal pronunciato lirismo politico e che calamiterà riflettori nazionali: quella all’uninominale con Massimo D’Alema. Che dire poi degli uscenti? Molte “decapitazioni” da parte di Renzi, ma senza dubbio riecheggiano forti e assordanti quelle dei parlamentari che tra referendum e dossier di governo si sono spesi senza riserve a difesa di palazzo Chigi, in questi anni: da Massa a Capone, da Tomaselli a Vico, via con un tratto di penna. S’assottiglia così l’area del Pd pugliese che interseca le correnti Renzi e Martina, e che in Bellanova ha un riferimento di spicco. Risultato: ulteriore, potenziale irrobustimento di Decaro e di Emiliano. Negli incastri di listini e uninominali è rimasto stritolato anche il sud della Puglia: su sei capilista soltanto uno (Stefàno) è dell’arco Brindisi-Lecce-Taranto, col vento barese-foggiano che spira forte. Il Salento è già una polveriera, per il Pd. E Taranto (al pari di Brindisi, altro polo industriale) ancora una volta ha dovuto accontentarsi dei proclami, delle promesse, della seduzione elettoralistica, delle attenzioni sbandierate: insomma, delle solite parole. O dei silenzi, spesso così eloquenti.
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