La variante inglese in Puglia al 93%. È la percentuale più alta d'Italia

La variante inglese in Puglia al 93%. È la percentuale più alta d'Italia
di Maria Claudia MINERVA
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Domenica 28 Marzo 2021, 08:47 - Ultimo aggiornamento: 18:21

Attualmente nel mondo circolano 119 varianti del virus Sars-Cov-2, e la diffusione del virus va pre-datata tra settembre e novembre 2019. E la Puglia è la regione italiana con la più alta percentuale (93,62%) di variante inglese.

LA PERCENTUALE PIU' ALTA IN ITALIA

Questi sono solo alcuni dati emersi da uno studio condotto dall'Istituto di biomembrane, bioenergetica e biotecnologie molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibiom) di Bari, dell'Università degli Studi di Bari Aldo Moro e dell'Università Statale di Milano, con il supporto della piattaforma bioinformatica messa a disposizione dal nodo italiano dell'infrastruttura di ricerca europea Elixir per le scienze della vita. La ricerca conferma, appunto, che in Puglia già nel mese scorso la variante inglese è stata attestata nel 93,62% dei casi, tra l'altro la percentuale più alta d'Italia tra le regioni (sebbene il campione non sia statisticamente molto significativo per via dei genomi analizzati che sono soltanto 47). Dati che si incrociano perfettamente con quanto sostenuto dalla dottoressa Maria Chironna, docente di igiene all'Università di Bari nonché responsabile del Laboratorio di epidemiologia molecolare del Policlinico di Bari, che ha sottolineato come nella nostra regione il 93 per cento dei ceppi virali riscontati nelle analisi del Centro di coordinamento regionale Lab Sars Cov-2(Aoic Policlinico) e Istituto Zooprofilattico di Puglia e Basilicata appartengano proprio alla variante inglese.

I GENOMI INDIVIDUATI DA INIZIO PANDEMIA

I ricercatori del Cnr di Bari basandosi sulle caratteristiche dei genomi, propongono un metodo innovativo ed efficace per la tipizzazione di quelli virali, sia per monitorare l'attuale distribuzione spazio-temporale del virus che per la predizione della sua diffusione. I dati sono stati pubblicati su Molecular Biology and Evolution. «Gli autori hanno identificato, a diversi intervalli di tempo durante il corso della pandemia, un insieme di mutazioni nel genoma virale ad elevata prevalenza e che rimangono stabili», spiega il coordinatore dello studio Graziano Pesole. Secondo il metodo proposto, i nuovi tipi di Sars-Cov-2 vengono cioè identificati sulla base della contemporanea presenza, in uno stesso tipo di sequenza genomica, di due o più mutazioni caratteristiche e prevalenti, il concetto che prende il nome di aplotipo. Per estensione i diversi tipi di genomi virali sono stati definiti aplogruppi, più comunemente definiti varianti. Ebbene, in Puglia, dal 27 gennaio al 26 febbraio scorsi, la variante inglese è stata presente nel 93,62% dei casi (analisi basate su 47 genomi), mentre non si rileva la presenza di varianti brasiliana e sudafricana. Segue l'Abruzzo con il 91,86% (analisi basata però su 233 genomi). «I dati di marzo che stiamo quasi per pubblicare confermano questi numeri, anzi saremo vicini al 100%» rivela Pesole, che chiarisce la mancata presenza delle varianti brasiliana e sudafricana, spiegando che fino alla fine di febbraio non ci sono stati dati pubblici su queste altre due varianti del virus. «La variante inglese (B.1.1.7) è sensibilmente aumentata nel nostro Paese tra gennaio e febbraio, passando dal 23.5 al 60.2% dei casi, ma non è uniforme nelle diverse regioni italiane». Infatti, in Puglia supera il 93% mentre nel Lazio è ferma al 23%.

Lo studio ha, inoltre, consentito di confermare, come si è detto, l'ipotesi che la diffusione del virus sia da pre-datare tra settembre e novembre 2019.

Gli autori sottolineano che queste osservazioni sono basate esclusivamente sull'analisi comparata dei genomi virali e non sono associate a dati epidemiologici o clinici. «Tenuto conto di ciò, è bene precisare che il confronto dei sottotipi virali prevalenti in diverse regioni del mondo ed emersi in tempi diversi suggerisce che la gran parte della diversità genetica osservata in Sars-Cov-2, oltre 72.000 mutazioni rispetto al genoma virale di riferimento, non dovrebbe essere associata a particolari cambiamenti delle dinamiche del contagio o della sensibilità ai vaccini», prosegue il ricercatore associato Cnr-Ibiom.

VARIAZIONE ADATTATIVA DEL VIRUS


Lo studio indica infine che alcune varianti del genoma virale, anche emerse recentemente, potrebbero essere il risultato di un'evoluzione adattativa. Al momento attuale non è possibile escludere che queste varianti siano associate a forme più efficienti del virus. «È necessario avviare una campagna di sequenziamento genomico ripetuta nel tempo di un campione significativo, campagna di sorveglianza genomica non ancora partita in Italia in quanto per alcune regioni ci sono pochi o nessun genoma - conclude Pesole-. Però si dovrebbe cominciare a breve, e il laboratorio da me diretto è uno dei due selezionati dal Ministero della Salute nel Mezzogiorno per collaborare al sequenziamento dei genomi (l'altro è il Tigem di Napoli). Il monitoraggio e l'identificazione di nuovi sottotipi virali in diverse aree geografiche è una fonte cruciale per contrastare la diffusione della pandemia».
 

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