Va in tivvù e alla Candide descrive il migliore dei mondi possibili come se invece non fossimo nella palude: «Il governo sta lavorando anche su questo...». E' il mantra di Conte. La sua coperta di Linus. Il suo doping perché nulla si muova e nulla si muove. Anche fare, per poi non fare ancora, un commissario alla sanità calabrese diventa un'impresa titanica quando dovrebbe essere ordinaria amministrazione. E come se non bastasse il balletto dei 3 commissari, arrivati al quarto che doveva essere il filo-Pd Mostarda il filo s'ingarbuglia, come accade su tutto il resto, perché M5S mette bronci e veti. Come se ogni questione fosse simile, e purtroppo lo è, al Mes che è il tormentone che divide e che paralizza il governo e l'Italia nell'indecisione in cui Palazzo Chigi si trova a suo agio in quanto è la garanzia della stabilità impotente. E del tirare a campare che è sempre meglio - secondo celebre proverbio - che tirare le cuoia.
La nuova dicotomia
Il Pd sempre più nervoso preme per il rimpasto.
Per il resto, agli Stati Generali di Villa Pamphili si era annunciata la ripartenza: «Saremo rapidi e fattivi su tutto». Ma le parole di fattività non sembrano tradursi praticamente, e basti pensare - esempio tra tanti - a ciò che sta accadendo intorno alla Rai: Zingaretti e Gualtieri hanno annunciato che l'ad Salini è fuori e Conte con M5S non fanno che blindarlo e così la maggiore azienda culturale italiana non sa se ha una guida oppure no, se dev'essere carne o dev'essere pesce.
Ma la lista dei dossier inevasi è lunga e si allarga ogni giorno di più. Diventando foriera di liti nella maggioranza e di guai per il Paese: dalla vicenda Ilva a quella di Alitalia, da quella di Autostrade (in capo a una ministra dem che come se non bastassero i grillini ha contro anche un pezzo di dem) ai cantieri sbloccati per decreto e invece per lo più rimasti fermi. Perché scegliendo si può andare a picco, galleggiando invece si galleggia. Il rosario di riforme che veniva sgranato prima del Covid è lo stesso che viene ripetuto adesso con l'aggiunta della retorica della Ricostruzione - ma allora perché il Recovery Plan già pronto in altre nazioni qui si fa attendere? Perché ognuno ne vuole un pezzo e il mio non combacia con il tuo - che dovrebbe fungere da spinta e rischia di diventare niente.
L'ingorgo
E l'ingorgo dei commissari mancanti somiglia al traffico impazzito di «Roma» di Federico Fellini, dove tanto baccano di clacson serviva a riscaldare l'ambiente ma non certo a smuoverlo. Non ci sono soltanto i manager sanitari caduti e non rimpiazzati sul fronte calabrese, ma anche la trentina di commissari alle opere pubbliche che non riescono a diventare tali. Il Mit ha fornito l'elenco, il Tesoro ha segnato i costi, Palazzo Chigi deve mettere i nomi. Ma non ce la fa. Chi destinare alla Metro C? Se ne metto uno che alla Raggi non piace è un bel problema e allora: ripensiamoci poi! E chi va nominato commissario all'alta velocità, chi alle dighe, chi in altri snodi fondamentali della vita e della produttività nazionale? Palazzo Chigi annaspa, temporeggia, teme. L'ira degli uni o la rabbia degli altri. Per non scontentare (se faccio quello esplode il Pd! Se faccio quest'altro, s'arrabbiano i grillini!), meglio la bonaccia.
E' al palo, per fare un altro esempio, la riforma del Csm. La «visione strategica» - «Dobbiamo avere visione strategica» - è la formula contiana, se non fosse però che la legislatura sembra avvitata su se stessa e fatica a portare a casa la gestione ordinaria. E se Zingaretti aveva detto, all'indomani della vittoria nel referendum sul taglio del numero dei parlamentari, ora si apre la stagione delle riforme», l'orologio dev'essersi inceppato subito dopo. A dispetto del fatto che la pandemia impone accelerazioni e dovrebbe costringere a togliere la mano dai freni e la lingua dal chiacchiericcio autoreferenziale e dagli interessi delle rispettive botteghe. Utili per blindare una premiership ma non per sbloccare un Paese.