Il garante degli Italiani: Mattarella, un punto di riferimento solidissimo per tutti

Sergio Mattarella subito dopo la rielezione a capo dello Stato
Sergio Mattarella subito dopo la rielezione a capo dello Stato
di Massimo ADINOLFI
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Domenica 30 Gennaio 2022, 03:48

«Eh, Giovanni, non vado dal barbiere neanche io»: di frasi fuori dal protocollo Sergio Mattarella non ne ha dette molte, in vita sua, ma il fuorionda di quasi due anni fa, quando l’Italia entrava nell’incubo della quarantena, e i negozi di barbiere erano chiusi, e il Presidente parlava al Paese con i capelli, ahilui, non perfettamente in ordine, gli italiani lo ricordano bene, con un moto di affetto e simpatia che trova riscontro ancora oggi – o forse oggi ancor più di allora - nella grande popolarità del Presidente. Giovanni (Giovanni Grasso, il consigliere per la comunicazione di Mattarella) la spiegò così: «In questo periodo così difficile, forse i cittadini hanno un particolare bisogno di autenticità, di dare ai leader politici e istituzionali una dimensione in più, quella dell’umanità». Con la rielezione, il modo assolutamente sobrio in cui Mattarella ha interpretato questo passaggio, senza che nessuno mettesse in dubbio la sincerità del suo proposito di lasciare il Quirinale – autenticità, appunto – si può dire ampiamente confermato quel ritratto: gli italiani ci avevano visto giusto.

Non ha brigato questa volta, né brigò la prima volta, quando, nel 2015, Matteo Renzi lo propose al Parlamento, che lo elesse con 665 voti (solo 7 voti sotto la soglia dei due terzi) alla massima magistratura dello Stato. A ripercorrere il filo della sua carriera politica – più volte deputato, più volte ministro, vicesegretario di partito, giudice costituzionale – si trova la medesima linearità di comportamenti, e una misura di serietà e di coerenza che oggi, per la verità, sembra merce rara, ma che lo hanno accompagnato fin dal primo giorno del suo mandato presidenziale, quando il predecessore, Napolitano, usò per lui queste parole: «Lo conosco sul piano dell'assoluta lealtà e correttezza, sensibilità e competenza istituzionale. E certamente dell'imparzialità. Caratteristiche importantissime per disegnare la figura del capo dello Stato».

Chi è, dunque, Sergio Mattarella? Un ostinato democristiano siciliano, venuto a Roma seguendo il padre, Bernardo Mattarella, ed entrato in politica solo dopo l’assassinio per mano della mafia del fratello Piersanti, quando la Democrazia Cristiana doveva fare i conti, a Palermo, con i Lima e i Ciancimino. Solida preparazione giuridica, cultura cattolico democratica, è Ciriaco De Mita, neosegretario della Dc, che lo sceglie come l’uomo del rinnovamento siciliano, nominandolo commissario straordinario e, poi, mettendolo in lista nell’83. Mattarella è rimasto in Parlamento per un quarto di secolo: un’enormità, se misurata con la furia del dileguare che oggi consuma carriere politiche e leadership con febbricitante rapidità. Ma erano altri tempi, un’altra Repubblica. Di cui in fondo Mattarella reca l’impronta, anche se il suo nome è legato, in particolare, alla legge elettorale che aprì le danze della seconda Repubblica: il Mattarellum, così ribattezzato dal politologo Giovanni Sartori.

Per tre quarti maggioritaria, per un quarto proporzionale, quella legge fece storcere il naso a molti, che la giudicarono un compromesso inadeguato, non rispettoso dello spirito della proposta referendaria (siamo nel ’93). Giudicata col senno di poi, con i pastrocchi del Porcellum, dell’Italicum e del Rosatellum, resta l’unica ad aver funzionato almeno un po’.

La legge, non la seconda Repubblica. Mattarella, comunque, l’ha attraversata nel centrosinistra, militando prima nel Partito popolare, poi nella Margherita e infine nel Partito democratico. Poi basta: quando nasce il Pd lui esce dal Parlamento e di lì a poco comincia l’esperienza alla Suprema Corte. Che si conclude, dopo un quadriennio, con l’approdo sul Colle. Sono gli anni che gli italiani ricordano meglio, e in cui le qualità riconosciutegli da Napolitano hanno brillato. Quando, nel 2016, Renzi perde il referendum costituzionale e pensa di portare il Paese alle elezioni il Presidente lo stoppa: avvia le consultazioni e dà l’incarico a Gentiloni. Una prova di impeccabile imparzialità, visto che Renzi era stato, appena un anno prima, l’abile king maker della sua presidenza. Quando, nel 2018, nasce il governo gialloverde e c’è da mandar giù la prima maggioranza in cui non compare la sia pur minima traccia delle culture della prima Repubblica – alla quale Mattarella, per anagrafe e storia personale, appartiene – il Capo dello Stato dà l’incarico all’allora sconosciuto avvocato del popolo, Giuseppe Conte, senza obiezioni di sorta. Obietta però sul nome di Paolo Savona, che all’Economia minaccia di portare l’Italia fuori dall’Euro (e il Paese a sbattere). Una prova di assoluta indipendenza nell’esercizio delle proprie prerogative, di cui gli stessi due partiti, Lega e Cnque Stelle, finiranno col dargli atto.

Poi arriva la pandemia, il barbiere e Giovanni. L’interpretazione che Mattarella ha dato del ruolo, riuscendo ad essere un punto di riferimento saldissimo di un Paese sull’orlo della crisi di nervi è stata, anche questa, impeccabile. E anche la risoluzione dell’ultima crisi di governo, con l’invenzione di Draghi premier e la formazione di una maggioranza di unità nazionale, è stata – si può dire? – provvidenziale.

Poiché però uomini della Provvidenza non ce ne sono, né ce ne debbono essere, Mattarella non ha mai pensato di non poter essere sostituito, né che fosse la miglior cosa tenerlo al Quirinale anziché sostituirlo. Se è andata così, è per responsabilità altrui. Mattarella, lui – democristiano e siciliano ostinato –, non si sottrarrà, né poteva sottrarsi, alle proprie.

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