Il Piano nazionale di ripresa e resilienza alle prese con i mandarini dell'immobilismo: la vera incognita sul Recovery

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza alle prese con i mandarini dell'immobilismo: la vera incognita sul Recovery
di Erasmo D’ANGELIS
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Venerdì 21 Maggio 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 06:14

C’è un vecchio, subdolo e malinconico virus in circolazione da debellare. È la “Variante Azzeccagarbugli” nella sua ultima mutazione che rischia seriamente di infettare il “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” di Mario Draghi che contiene anche il rinascimento infrastrutturale del Sud. Se lo Stato non rafforza in tempi rapidi le proprie difese immunitarie con “vaccini” adeguati, il virus riuscirà ad azzerare un immane sforzo di traino che dovrà garantire la locomotiva del Mezzogiorno che beneficia di un buon terzo del mega investimento da 248 miliardi con dentro tre punti percentuali di Pil al 2026.  L’immane sforzo che dovrà garantire la locomotiva del Mezzogiorno che beneficia di un buon terzo del mega investimento da 248 miliardi con dentro tre punti percentuali di Pil al 2026.

L’infida variante dilaga dai focolai dei tanti “Uffici Complicazioni” della pubblica amministrazione dove risuonano le parole del mezzosoprano don Bartolo, il sabotatore delle mozartiane “Nozze di Figaro”: “Con un equivoco, con un sinonimo qualche garbuglio si troverà”. Il fatto è che, nella sua lunga marcia burocratica, dal primo Regio Decreto del 1861 e poi attraversando fascismo e 67 governi repubblicani con durata media nemmeno 1,5 anni, l’Italia patria del diritto ha assemblato il più labirintico corpus legislativo d’Europa, favorendo molto lo spirito manovriero e l’arzigogolo, rendendo incredibile il tempo impiegato dall’assegnazione dei fondi da Roma alla loro effettiva erogazione alle stazioni appaltanti del territorio e poi dalle gare d’appalto ai cantieri. L’ordinaria burocrazia è diventata la masochistica dittatura di un groviglio abnorme e unico al mondo di 150 mila provvedimenti (leggi, leggine, decreti legge, decreti attuativi, atti, norme, regolamenti...), un bazar giuridico con una superfetazione legislativa sempre variamente interpretata e interpretabile che ha prodotto il più lungo lockdown dell’efficienza, soprattutto nelle regioni del Sud.

La filiera da accorciare

Lo stato semplice è l’anti-virus, e il Governo politicamente extra-large prova oggi ad accorciare le filiere dei timbri e delle bollinature, sforbiciando i troppi rituali formali ripetuti all’infinito. Il ministro della transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha già presentato schemi di procedure valutative molto semplificate per il ciclo riformatore voluto da Draghi che sa meglio di tutti che solo il Nex Generation Ue può farci uscire dalla peggior crisi del dopoguerra, e ci giochiamo dunque l’osso del collo. Ballano anche i tanti fondi, equivalenti per valore al Recovery Plan, stanziati in anni di leggi di bilancio, le risorse della Coesione territoriale e quelli a macerare giacenti nelle casse di Ministeri, Regioni e Comuni. Soldi in gran parte destinati alle infrastrutture soprattutto al Sud, ma che devono uscire dai colli di bottiglia di assegnazioni, progettazioni, affidamento lavori, stati di avanzamento. Per realizzare un’opera pubblica, anche banale e sotto il milione di euro, i nostri tempi biblici arrivano anche a 5 anni, salgono al triplo per importi superiori, e una miriade di cantieri sono fermi al palo o non conclusi anche per il caos delle regole di ingaggio (sono circa 600 le modifiche in 10 anni al Codice degli appalti), e per uffici tecnici e amministrativi comunali e regionali depauperati dall’assenza di turn over che i ministri della Pa Renato Brunetta e Mara Carfagna del Sud e della Coesione stanno colmando con le prime 2.800 nuove assunzioni a concorso. 

Draghi invita a rimanere concentrati sul pacchetto-riforme che entra nel vivo perché sa che il tempo non è dalla nostra parte, e le sabbie mobili della burocrazia possono ingoiare tutto. Ha inserito il turbo con il “Decreto legge semplificazioni e riduzione oneri burocratici in connessione all’avvio del Pnrr”, con una sfilza di sburocratizzazioni storiche in 48 riforme di settore e 4 leggi delega da approvare entro il 2021, al massimo nei primi mesi del 2022.

Se saltano questi tempi semplicemente saltano i giganteschi investimenti europei da concludere in soli 6 anni, pena la loro restituzione. 

L'obiettivo delle riforme

È questa la madre di tutte le battaglie parlamentari, classificata nel Pnrr come “orizzontale” e “trasversale” alle 6 missioni indicate, e “abilitante” all’attuazione del piano. Le riforme semplificatrici sono una marea: dalla valutazioni in materia ambientale alla riforma dei processi civile e penale, del Csm e della giustizia tributaria; dai servizi pubblici locali al trasporto pubblico locale e alla riforma fiscale, dai sostegni agli ammortizzatori sociali al dissesto idrogeologico e alla concorrenza, dal reclutamento del personale della pubblica amministrazione ai contratti pubblici, dall’urbanistica e dalla rigenerazione urbana e dell’edilizia all’anti-corruzione, dallo sviluppo delle rinnovabili alle reti di telecomunicazione e alle concessioni per porti, rete elettrica, idroelettrico, gas naturale. Ma servono, lo ha ricordato pochi giorni fa il presidente Mattarella convocando i presidenti di Camera e Senato, massima coesione e ritmi di lavoro parlamentari straordinari e inusuali in vista anche delle defatiganti concertazioni e doppie letture del bicameralismo paritario. 

È evidente che senza riforme la parola cantiere non avrà futuro e resterà sinonimo di blocco, come mette nero su bianco a pagina 64 lo stesso Pnrr: “Da un’analisi della durata media delle procedure elaborata in base ai dati degli anni 2019, 2020 e 2021, si riscontrano tempi medi per la conclusione dei procedimenti di VIA di oltre 2 anni, con punte di quasi 6 anni... considerando l’attuale tasso di rilascio dei titoli autorizzativi per la costruzione ed esercizio di impianti rinnovabili, sarebbero necessari 24 anni per raggiungere i target Paese - con riferimento alla produzione di energia da fonte eolica - e ben 100 anni per il raggiungimento dei target di fotovoltaico”.

Se tutte restasse così, amen. Sarà vittoria a tavolino dei mandarini dell’immobilismo. Nei piani del governo ci sono l’attivazione di cabine di regia a partire da Palazzo Chigi, di un team di 300 esperti che all’Economia saranno impegnati nel monitoring di investimenti e governance locali, poteri sostitutivi in caso di ritardi nell’execution o “messa a terra” dei progetti. Come ripete Draghi: “Qui ci sono 248 miliardi da investire, e c’è una reputazione da difendere in Europa”. E per farlo, già da fine giugno quando avremo il via libera ufficiale dell’Ue, servono riforme-vaccino per disattivare i troppi don Bartolo delle nostre opere buffe, e fare dell’Italia il paese dei cantieri utili che fanno sognare il Sud.
 

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