I partiti e l'obbligo di portare a compimento l'opera di rifondare il Paese

di Mauro CALISE
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Lunedì 9 Agosto 2021, 05:00

Ancora per qualche mese - non molti - il tema politico sarà chi e come spendere i soldi dell’Europa. Ma la stagione delle cicale sarà breve. Non solo perché questi soldi bisognerà a un certo punto restituirli. Ma perché, ammesso che si riesca a spenderli presto e bene, l’Italia che ne verrà fuori sarà - economicamente e socialmente - profondamente diversa. Dall’incubo della pandemia ci sveglieremo in un altro paese. Lo fotografa, con il consueto rigore, Federico Fubini sul Corriere. Snocciolando le cifre dei settori che verranno penalizzati dal tritacarne verde e digitale che, almeno nei programmi, è il mantra del sol del prossimo avvenire. La reazione rabbiosa, già sperimentata in Francia alla prima stretta sui carburanti, potrebbe propagarsi in tutta Europa, innescando una seconda ondata di ribellione populista anti-UE. Con conseguenze politiche imprevedibili. Che potrebbero rapidamente capovolgere il quadro di moderato ottimismo che serpeggia oggi nelle cancellerie.

Il destino dei populismi

Per stare all’Italia, le domande più scottanti sono tre. La prima riguarda il futuro – non tanto remoto – dei partiti che devono le proprie origini e fortune al populismo prima maniera. I Cinquestelle sono messi maluccio. La fanfara neo-ecologista li priva di una delle principali bandiere. Il fiume di danaro che verrà investito, a vario titolo, per elettrificare i trasporti e digitalizzare gli impianti industriali rende difficile arroccarsi sul luddismo anti-infrastrutture. Vedi il silenzio Tav sul ritorno in campo – anzi campate – del progetto di un ponte sullo stretto. Diversa è la posizione della Lega. Nella prima fase in cui si prendono le decisioni importanti sulla spesa, Salvini lascerà fare a Giorgetti, e agli interessi che rappresenta. Ma quando si cominceranno a sentire i contraccolpi occupazionali della grande riconversione verde, il tono e il look del Capitano torneranno a farsi ben più battaglieri. Anche perché si troverà a contrastare le incursioni di Giorgia Meloni in molte delle roccaforti leghiste. Una strategia cui la leader di FdI sta già lavorando da tempo.

In tutti e tre i casi è, comunque, prevedibile che si incrini il clima attuale di sostanziale consenso sociale nei confronti dell’esecutivo. Cosa faranno i partiti populisti? Cavalcheranno queste tensioni portandole fino a un punto di rottura? Reggerà il governo Draghi, o cadrà perché la rivolta diventerà incontrollabile? Molto, ovviamente, dipenderà dall’entità del malcontento. Ma ancora più importante sarà l’alternativa che potrà costruire chi fosse intenzionato a candidarsi alla guida di Palazzo Chigi.

Come già è accaduto in altri casi, la forza d’urto dei populisti è massima dall’opposizione. Ma ben più ardua da gestire una volta entrati nella stanza dei bottoni.

Il futuro prossimo

La terza, e più importante, domanda riguarda allora il programma e le alleanze con cui il centrodestra può pensare di affrontare il dopo-Draghi. Vincere le elezioni, anche sull’onda delle nuove fratture, non dovrebbe essere troppo difficile. Ma poi? Come e con chi governare? La risposta è semplice, anche se ostica da digerire e realizzare. Non esistono alternative alla formula di Grosse Koalition attuale. Sul nostro futuro – sulla testa di tutti noi italiani – è come se pesasse un incantesimo. Tutti sanno che per portare a termine – pur tra mille difficoltà – gli impegni presi con l’Europa occorrono – almeno – cinque anni di impeccabile regia governativa, come quella che abbiamo cominciato a sperimentare quest’anno. Al tempo stesso tutti ci ripetono che, allo scadere del semestre bianco, il governo dovrà andarsene a casa. Al massimo potrebbe durare – traballando – un’altra manciata di mesi. Si tratta di una contraddizione insostenibile. Cui nessuno prova a porre rimedio, per paura di disturbare il limbo di protezione a Draghi.

Ma il problema va posto. Pensare di poter uscire da questo incantesimo varando un esecutivo neo-populista equivarrebbe a trasformarlo in incubo. Illudersi di esorcizzarlo ribaltando, nelle urne, i rapporti di forza tra centrodestra e centrosinistra è un altro modo di scavarsi la fossa. Più serio sarebbe cominciare a ragionare sulla durata di questa coalizione. Ben oltre questa legislatura. Con questo premier, o con un altro simile. L’importante è che ci siano dentro tutti i partiti che stanno impostando il tentativo di rifondare il paese. E che hanno l’obbligo di portarlo a termine.
 

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