Il senso autentico delle cose nel dialetto, l'unica lingua che ti conosce

Il senso autentico delle cose nel dialetto, l'unica lingua che ti conosce
di Antonio ERRICO
5 Minuti di Lettura
Lunedì 5 Agosto 2019, 17:07 - Ultimo aggiornamento: 19:33
Ogni anno, quando viene estate, lui ritorna dall’Irlanda per dieci giorni, al massimo due settimane. Vive lì per lavoro da più di trent’anni.

Dice che ogni volta che ritorna si accorge che molte cose sono cambiate. Dice che qui le cose cambiano rapidamente, troppo rapidamente forse. A volte ha difficoltà a riconoscere i luoghi, perfino a trovare le direzioni. Gli rispondo che sta invecchiando. Ma lui dice che non è questo. Che sta invecchiando è vero, ma non è questo. Il motivo è che qui tutto cambia troppo rapidamente. Non cambiano soltanto i luoghi. Cambiano anche le persone, cambia il loro modo di fare. Ogni volta le trova sempre più indifferenti, ogni volta sempre più indaffarate e distratte. 

Dice che non si ritrova più in questa terra. Che le sole cose che ancora gli fanno avvertire una sensazione di appartenenza sono i suoi ricordi e il dialetto. 

Ma i ricordi hanno una energia più forte quando è lontano da qui. Che accada questo è normale. La lontananza attribuisce all’evocazione una funzione che agisce nelle profondità. 

Nella lontananza la memoria diventa concreta, fa rivedere i volti, risentire le voci che appartenevano a quei volti, e poi gli odori, i sapori, come la madeleine di Proust. Non sono mai riuscito a rileggere neppure una sola pagina di Proust, dice, e probabilmente non ci riuscirò mai più, perché Proust si può leggere una sola volta nella vita. Ma certe immagini, certe emozioni, mi sono rimaste graffiate sulla pelle.

Quando torna qui è come se la memoria si sfrangiasse, come se perdesse vigore. Il presente si fa assoluto, e sommerge il passato, completamente. Anche perché qui cambia tutto rapidamente, ripete: troppo rapidamente. I luoghi non gli ricordano più quasi niente.

Quasi improvvisamente nella strada dove ha abitato fin quando non ha finito l’università è cambiato tutto. Sono cambiate le case e i colori delle case. Hanno spiantato il glicine. Si chiamava via del glicine. Si chiama ancora così, ma hanno spiantato il glicine.

Soltanto il dialetto mi riporta il tempo, mi restituisce il tempo, dice. Soltanto quelle parole gravi o leggere, quelle parole di canto, di nenia, di bestemmia d’uomo che dispera o di preghiera di donna che consola, quelle parole di casa, di piazza, di strada, urlate, sussurrate, soltanto quelle mi riportano il tempo, sono madeleine.

Dice che lì, in Irlanda, si è portato un’antologia che si intitola “Rindineddhre te parole”, con le poesie di Nicola De Donno, Giuseppe de’ Dominicis, Rocco Cataldi, Erminio Giulio Caputo, Antonio Sforza. Ogni tanto apre una pagina a caso, e se ne legge qualche verso.

Soltanto il dialetto gli restituisce il tempo. Anche il tempo che non ha vissuto. Il dialetto è la sua memoria storica. È la sola cosa di questa terra che dentro di lui è rimasta intatta.

Parla inglese, tedesco, spagnolo.

Ma racconta che una volta, durante una riunione con i vertici dell’azienda intorno ad un tavolo che non finiva mai, mentre spiegava quale dovesse essere il senso essenziale di un progetto che sembrava un azzardo, una pazzia, senza nemmeno accorgersene passò dall’inglese al dialetto.

Loro continuarono ad ascoltarlo, senza la minima reazione, e a lui pareva che capissero tutto, gli pareva che capissero ogni parola perfettamente.

Già. Dice che quando arrivò al punto di spiegare il senso essenziale, in un istante in cui si sentì perso, gli venne naturale esprimersi in dialetto. Forse perché il senso essenziale di qualcosa, di una storia, di un sentimento, di un progetto, il senso profondo si può esprimere soltanto nella lingua che ti appartiene da sempre, che si è stratificata dentro di te, che ti conosce.

Dice che questo gli sembra che sia, sostanzialmente, il dialetto: non una lingua che conosci, ma una lingua che conosce te, che sa che cosa vuoi dire veramente e te ne dà il modo, il ritmo, il tempo, la sfumatura forse anche impercettibile ma senza la quale non ci può essere senso, la sostanza lessicale che rifiuta ogni astrazione, ogni artificio.

Una lingua che ti conosce. Che sa quali sono i sogni che fai ad occhi chiusi e aperti, le paure che non confessi a nessuno e a volte neppure a te stesso. Allora ti permette di dire i sogni e le paure, te lo permette così, semplicemente, come se quei sogni e quelle paure appartenessero a tutta la tua gente, come se i sogni fatti insieme possano essere più grandi e le paure provate insieme possano essere meno paure.

Dice che qui le cose cambiano rapidamente: forse troppo rapidamente. Che forse è cambiato anche il dialetto, si è ibridato, com’è giusto che sia, in fondo.

Ma questa trasformazione lui non la vive. Il suo dialetto è quello di una madre e di un padre, è quello dei canti che in certe notti dell’infanzia si alzavano nell’aria e arrivavano alla luna, quello delle poesie che si è portato dietro, lì, in Irlanda. Il suo è un dialetto intimo, di memoria. Una dimensione necessaria. Un codice intraducibile. È poesia della lingua, un’ombra che il tempo spande intorno a lui. Un modo di abolire la lontananza, un’intonazione sentimentale, un’espressione del desiderio, un confronto con la sua storia d’uomo e con il luogo in cui quella storia è cominciata; è il colore di un tramonto che sfolgora sul mare della Montagna Spaccata.
Qui le cose cambiano troppo rapidamente, ripete. Di tanto in tanto mi viene il pensiero di non tornarci più. In fondo tutto quello che ho amato di questo luogo, tutto quello che ancora amo nel ricordo, le cose, le storie, le creature, il mio essere stato in un altro tempo, il mio aver sognato, qui, con voi, e aver realizzato il sogno altrove, con altri ma con voi sempre nel pensiero, li posso ritrovare quando voglio, in qualsiasi istante, quale che sia il posto in cui mi trovo.

Mi basta soltanto ripetere a me stesso una frase in quella lingua che mi conosce, pronunciare semplicemente una parola, una sola parola in quella lingua che mi conosce, e tutto mi ritorna nel modo in cui è stato, tutti mi ritornano come sono stati, come ancora sono nel fondo del ricordo.

Così dice, mentre lo accompagno in aeroporto.


 
© RIPRODUZIONE RISERVATA