Da Conte a Sarri tifo duro e puro e falsi valori

Da Conte a Sarri tifo duro e puro e falsi valori
di Giovanni CAMARDA
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Domenica 2 Giugno 2019, 19:01 - Ultimo aggiornamento: 16 Giugno, 08:29
Chissà chi si credono di essere, questi allenatori dell'era social in cui ogni loro mezza virgola viene sminuzzata, processata e memorizzata. Vanno, tornano, prendono, lasciano, addirittura ritengono di poter impunemente allenare una squadra della quale erano stati fieri competitori, avversari, addirittura nemici. Passa il tempo e che succede? Vanno a sedersi proprio lì, su quella panchina ove mai, un tempo, avrebbero immaginato di poter accomodare le proprie terga.
Il caso emblematico di questi ultimi giorni, ma non il solo, è quello del vituperato Antonio Conte che, se non altro, è riuscito nell'impresa di mettere d'accordo tifosi juventini, interisti e giallorossi, cui va però riconosciuta la precedenza. Quello che ha fatto Conte è ormai arcinoto: ha accettato l'offerta dell'Inter firmando un contrattino da 27 milioni netti in tre anni, più bonus. Quindi, diciamo pure 30 e non se ne parli più.
Orrore. Scandalo. Vergogna. Ignominia. Non avrebbe dovuto farlo, è chiaro. Gli interisti, inevitabilmente, si sono sentiti oltraggiati, specie quelli della curva nord già noti alle forze dell'ordine. Di pari passo, circa 300mila veri supporters della Juventus hanno firmato una petizione per chiedere ad Agnelli di rimuovere la stella del leccese (insultato anche ieri a Madrid dove gli hanno dato del mercenario) tra quelle affisse allo Stadium, ritenendo che accettare l'offerta del paperone cinese Zhang costituisca un'onta indelebile sul suo passato bianconero. E si capisce: chiunque, anche il meno sfegatato tra quei cuori bianconeri e nerazzurri, avrebbe sdegnosamente fatto a meno del contratto più alto mai firmato da un allenatore in Italia pur di non macchiare una carriera di specchiata juventinità o antijuventinità. Ci mancherebbe, non si fa alcuna fatica a crederci.
Purtroppo, per i 300mila pare che un altro durissimo colpo stia per essere inferto alla loro fede immacolata: starebbe per arrivare sotto la Mole nientepopodimenoche Maurizio Sarri, proprio lui, quello sempre in tuta e con qualcosa tra i denti, una specie di stecchino che fa tanto osteria. Ma non è solo quello a disturbare, ovviamente, anche se - come si dice - noblesse oblige, pure per un club che fa ancora fatica a richiudere un armadio gonfio di scheletri ingombranti (nessuno ha dimenticato il Moggi style, si spera, né gli arbitri rinchiusi in uno stanzino). Però, insomma, a quello si potrebbe anche soprassedere, sperando che una full immersion alla Continassa faccia miracoli. Ciò che proprio non si può sopportare è il suo passato da napoletano - e che passato, e che napoletano - con quelle sfide sempre così tirate, astiose, polemiche. Perché quand'era al Napoli, Sarri non era solo un allenatore ma quasi un capopopolo, uno che difendeva gli interessi della propria squadra anche assumendo toni e posizioni forti, assolutamente privi di bon ton ma carichi di coinvolgimento, di passione, di attaccamento ai propri colori. Un po' come ha sempre fatto Conte, non solo alla Juve ma persino al Bari, fino a rintuzzare ogni genere di contumelia patita in patria, a Lecce, da avversario e figlio rinnegato. Non avrebbe dovuto mai accettare neppure quella panchina, Conte, che pare quasi se le vada a cercare le rogne, e che comunque non rinuncia a farsi coinvolgere totalmente, ovunque sia chiamato a fornire il suo know how. Conte, come Sarri, è fatto un po' così: se accetta, si tuffa completamente in quello che fa, sposa totalmente la causa di chi lo paga e da quel momento, fino a fine contratto, vede chiunque altro come il fumo negli occhi. Vale pure per Sinisa Mihajlovic che sarebbe stato già annunciato dalla Roma se nel frattempo non si fosse scatenata una rivolta per il suo passato da laziale. Miha, al pari di Conte e Sarri, è uno vero, che non conosce il politically correct, le frasi di rito, tipo faremo la nostra partita e cose così.
Non va bene, vero? No, certo. Non può andar bene a certi tifosi - tanti, troppi e dappertutto, come dimostra l'attacco di Benevento a Lucioni - che all'integrità di un professionista preferiscono la presa per i fondelli di quelli che quando segnano contro la propria ex squadra non esultano, e piuttosto piangono disperati, poverini. E pazienza se di fronte c'è un'altra tifoseria che forse potrebbe sentirsi offesa dalla mancata esultanza di un proprio beniamino al quale dispiace tanto di aver fatto gol per chi lo sta pagando e sostenendo in quel momento. Del resto, il ragionamento è chiaro: se sei stato con me non puoi stare con nessun altro che a me non sia gradito, secondo una concezione del tifo che è da ricovero coatto, evidentemente.
In un mondo normale, tra persone normali, bisognerebbe invece accettare che un professionista dia sempre e ovunque il meglio di sé e sia libero di accettare le proposte che ritiene più funzionali ai propri obiettivi di carriera. Tra persone normali ci si dovrebbe sentire garantiti dalla certezza che quell'allenatore, quel calciatore, è talmente serio che darà certamente il massimo pur essendo stato un tempo un acerrimo nemico. Anzi, proprio quella sua carica, quella sua determinazione, quel suo essere quasi esasperato, dovrebbe semplicemente conquistare un tifoso, tutti i tifosi, felici di non avere dalla propria parte un manichino impomatato senza sangue e senza emozioni, seduto lì come alla fermata del bus, in attesa di un nuovo viaggio.
Conte, Sarri, Mihajlovic. Ma anche Liverani. È bastata una frase (arrivasse la proposta di una grande, ne parlerei serenamente con la società) per scatenare i leoni da tastiera invariabilmente costretti ad attingere da un vocabolario scarno. Tradimento, la parola più abusata con altre consimili. Ora, l'augurio ovviamente è che Liverani resti. Ma se andasse, bisognerebbe solo prenderne atto e comprendere che un professionista può - anzi, deve - cogliere le opportunità che considera irrinunciabili, pur a malincuore e senza rimpianti avendo dato tutto se stesso fino a quel momento per ripagare la fiducia ricevuta. Quando (e se) si arriverà a questo livello di maturità, il mondo del tifo avrà compiuto un enorme salto di qualità e godere del calcio sarà più facile e gratificante per tutti.
Intanto si può solo continuare a chiedersi perché, e da dove arrivino atteggiamenti così oltranzisti, figli sicuramente di una serie di fattori. L'ignoranza, d'accordo, ma anche il fraintendimento dei ruoli, quello del tifoso che per definizione è passione e fedeltà, e quello del prestatore d'opera a contratto, che non può essere vincolato a vita a valori che possono essere suoi solo a tempo, perché non lo erano prima e non lo saranno dopo ma esclusivamente durante. E poi la convinzione illusoria, data dai social, di poter incidere su tutto trasformando quella che un tempo era una chiacchiera da bar in un proclama alla nazione. Svegliarsi e capire che la realtà è un'altra cosa - e che quindi, in questo caso, le scelte di un professionista non devono passare al vaglio di una tifoseria, legittimamente d'accordo o meno - sarebbe un buon punto di partenza.
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