Amministrative 2022: la confusione come sistema e l'elettore diserta le urne

Amministrative 2022: la confusione come sistema e l'elettore diserta le urne
di Vincenzo MARUCCIO
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Martedì 14 Giugno 2022, 11:31 - Ultimo aggiornamento: 16:08

Mai così in basso. Affluenza a picco: da Nord a Sud, quasi senza eccezioni. Per il Referendum l'esito, per certi versi, era scontato. La sorpresa, invece, arriva dalle Comunali: una tendenza al calo che in questa tornata ha subito un'improvvisa accelerata. In Italia votanti al 54%, in Puglia al 61%, sta leggermente meglio la provincia di Lecce con la media del 65%, sprofonda Taranto al 52% che vuol dire appena un elettore su due alle urne.

Cinque punti in percentuali in meno rispetto alle precedenti elezioni, in alcuni casi anche dieci punti in meno. Numeri così netti da rendere difficile analisi socio-politiche sulle reali motivazioni. Un tale coacervo di comportamenti e di (non) scelte che verrebbe facile concludere così: i cittadini, molto semplicemente, non ne possono più e se ne stanno a casa. Poche certezze, facile sentenza finale.
Una certezza è che stavolta il mare c'entra poco: lo si è sempre detto per giustificare ombrelloni e lettini preferiti ai seggi senza aria condizionata, ma questa domenica il forte maestrale non giocava a favore di una no-stop in spiaggia - Jonio o Adriatico che fossero - tale da occupare l'intera giornata. Un fattore che sull'affluenza ha inciso in piccola misura: se uno avesse voluto, il tempo lo avrebbe trovato anche in mancanza del lunedì elettorale.
Vero è che questa italica abitudine della chiamata alle urne quando il termometro sale oltre i 25 gradi non incoraggia certo gli elettori: scelta insensata e inspiegabile se paragonata al resto d'Europa (dove si vota fino alle 19-20, preferibilmente in periodi meno caldi) e che andrebbe corretta con urgenza per evitare code tardo-serali e conteggi nel cuore della notte. Un vulnus, però, anch'esso insufficiente come chiave di lettura per comprendere il tracollo dell'affluenza.

Potrebbe aver pesato in alcuni casi - vedi Taranto, vedi Genova (44% di affluenza) se si guarda al Nord - un risultato elettorale pressoché scontato tanto da aver fatto perdere la voglia di voto a fette ampie di simpatizzanti delle coalizioni destinate a probabile sconfitta. Della serie: che ci andiamo a fare che tanto perdiamo lo stesso? Meglio starsene lontani se la possibilità di incidere è ridotta al lumicino.
Andava diversamente fino a qualche anno fa. La frantumazione delle proposte e la moltiplicazione delle liste funzionavano da incentivo al voto tenendo a freno fisiologiche pigrizie legate alla crescente disaffezione: più candidati sindaco e candidati consiglieri, maggiore la possibilità di portare alle urne parenti, amici e vicini di casa. Una legge automatica che sembrava potesse garantire per sempre una discreta partecipazione: venuta meno, tranne alcuni casi, anche quella.

Non basta più allargare la platea degli eleggibili per assicurare affluenze sopra il 70 per cento: liste allungate con nomi pescati chissà dove o senza alcun appeal su un elettorato non più disposto a firmare cambiali in bianco sulla base di una generica fiducia. Neanche per le Amministrative, da sempre le più sentite dall'elettorato. Percepite come un appuntamento elettorale cruciale per gli effetti sulla propria vita quotidiana. Altra cosa rispetto alle Politiche o alle Europee.

E qui veniamo al punto. All'aspetto forse più controverso che s'incrocia con il tema del rapporto dei cittadini con la politica e con le classi dirigenti, in questo caso del proprio Comune. Obbligatorio partire da un assioma: nessuno pensa che di un sindaco - di un assessore o di un consigliere - se ne possa fare a meno. Chi per un permesso a costruire, chi per un abbonamento al bus, chi per un assegno sociale, chi per una strada poco illuminata: singoli cittadini innanzitutto, ma anche imprese, commercianti e associazioni sanno che con un sindaco bisognerà sempre avere a che fare e che il voto è un modo per indirizzarne progetti e priorità. Per questo non basta applicare la classica tesi dello scollamento tra cittadini e rappresentanti della politica: valida per altre elezioni, non per le Comunali.
Prevale, invece, un altro comportamento che genera bassa affluenza. Tra tutti, forse, il più allarmante: disertare le urne per la difficoltà di distinguere tra un candidato e l'altro, così contaminati nei trasversalismi di liste e di sostenitori che fare una scelta non serve più. Candidati e coalizioni dai profili identitari sempre più difficilmente riconoscibili (con le dovute eccezioni, ci mancherebbe) fra cambi di casacca, simboli di partito spariti e voltagabbana di ritorno. E, dunque, così uguali che perfino dedicarvi un'ora di una domenica di giugno diventa inutile. Uno spreco del proprio tempo, un esercizio che non vale la pena mettere in pratica. Una ferita del diritto-dovere al voto su cui bisogna interrogarsi: in alcuni Comuni il vero, nuovo partito di maggioranza. Gli analisti più attenti lo segnalano in modo diffuso, le cronache giornalistiche di campo lo confermano: guadagna consensi un ragionamento forse gretto, ma terribilmente realistico. Che suona più o meno o così: se gli schieramenti sono indistinguibili negli obiettivi di programma e interscambiabili nei volti a che serve scegliere? Che vinca chiunque, basta che ci sia un sindaco e un consigliere con delega al ramo. Poi, con l'uno o con l'altro, ci andremo a parlare quando servirà. Per ora fa lo stesso.
 

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