Filomena Nitti, Premio Nobel mancato: riconosciuto al marito collega di laboratorio ma non a lei. Ora l'Iss la ricorda

L'Accademia svedese riconobbe l'onorificenza per la Medicina e la Fisiologia solo a Daniel Bovet

Filomena Nitti in una foto d’epoca dell’Archivio Iss
Filomena Nitti in una foto d’epoca dell’Archivio Iss
di Carla Massi
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Mercoledì 21 Febbraio 2024, 12:43 - Ultimo aggiornamento: 28 Febbraio, 15:38

Storia di una ricercatrice “dimenticata”. Storia di un Nobel mancato.

Storia di una donna che la Scienza non ha raccontato. Filomena Nitti nasce a Napoli nel gennaio 1909. Ultima di cinque figli. Sua madre è Antonia Persico, figlia del giurista cattolico Federico Persico. Suo padre è Francesco Saverio, economista, ministro nei governi Giolitti e Orlando. Presidente del Consiglio tra il 1919 e il 1920. Quando Mussolini prende il potere l’ex Presidente del Consiglio lascia l’Italia e si rifugia a Zurigo con tutta la famiglia. Filomena si sposta a Parigi, prima liceale e poi studentessa universitaria. Si laurea in Scienze Naturali e comincia a lavorare a Mosca come analista chimica per le farmacie. Si sposa, ha due figli e si separa. Siamo nella seconda metà degli anni Trenta. Il marito, Stefan Freund, trascura Filomena e i ragazzi, dissipa le loro risorse fino a costringerla a rompere il matrimonio. È tempo di rifare i bagagli e tornare a Parigi. Nel‘37 entra all’Istituto Pasteur e inizia a concretizzarsi il suo obiettivo: creare nuovi farmaci. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale impatterà sulle scelte e sugli stessi filoni di ricerca all’interno del Pasteur che comincerà a produrre medicinali sia per l’esercito francese che per le truppe di occupazione. Nel laboratorio lavora a fianco di suo fratello Federico. 

Filomena Nitti con il marito Daniel Bovet in una foto dell'Archivio dell'Iss

Conosce il biochimico Daniel Bovet ed è subito amore: i due non si separeranno mai più, condividendo tutto, dalla vita professionale a quella sentimentale convolando a nozze in meno di un anno. Nasce un figlio, Daniel-Pierre. Filomena, Daniel e Federico studiano la penicillina, mettono a punto il primo farmaco antistaminico, prepararono 200 mila fiale di siero antitetano e una tonnellata di sulfamidici per i soldati al fronte. Per questo impegno civile soltanto Daniel Bovet riceverà una medaglia al valore. È il primo smacco professionale che riceve Filomena. Finita la guerra si presenta l’opportunità di tornare in Italia. Il trio di ricercatori decide per il sì, al laboratorio di Chimica terapeutica dell’Istituto Superiore di Sanità a Roma. «Il ritorno in Italia fu un fatto naturale, addirittura già previsto nel mio contratto di matrimonio» dichiara la Nitti durante un’intervista nel 1989.

Il patto era quello di collaborare alla ricostruzione dell’Italia e contribuire allo sviluppo della ricerca in ambito biomedico. Solo Filomena e Bovet, però, arriveranno perché Federico muore di tubercolosi. Forse contratta studiando i ceppi del batterio coltivati in laboratorio a Parigi. In Viale Regina Elena 299, al sesto piano dell’Istituto, i coniugi continuano a lavorare insieme: studiano anestetici, rilassanti muscolari, una serie di sostanze attive sul sistema nervoso centrale. La loro fama supera i nostri confini. È in questo periodo che la ricercatrice, oltre a formare le giovani leve, si dedica al sociale per combattere l’analfabetismo. Nel tentativo di riscattare le penose condizioni del Sud post bellico. Il suo Sud. Nel 1948 Nitti e Bovet pubblicano un manuale battezzato come “Bibbia della farmacologia”, nel quale i due ricercatori spiegano i meccanismi d’azione di diversi farmaci allora conosciuti. Un volume di 800 pagine. Anni intensissimi di lavoro, viaggi, sperimentazioni, pubblicazioni e plausi dal mondo scientifico mondiale. Tanto che nell’ottobre del 1957 l’ambasciatore della Svezia in Italia va a casa dei coniugi Bovet a Roma per comunicare ufficialmente il conferimento del Premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia a Daniel Bovet. Solo a lui, anche se le ricerche erano firmate da lei e da lui.

Filomena Nitti in una foto d’epoca dell’Archivio Iss

LA REAZIONE

Filomena non fa commenti pubblici su questa palese ingiustizia. Alcuni giorni dopo l’annuncio dichiara: «Siamo estremamente felici. Mi duole soltanto che mio padre non sia qui a partecipare alla nostra gioia». Il marito ricorda ai giornalisti che: «Anche se il Premio è stato a me attribuito esso naturalmente va anche a mia moglie, mia collaboratrice, e a tutti quelli che con tanto entusiasmo e tanta fiducia lavorano con me nel nostro laboratorio». La professoressa va a Stoccolma con il marito per ritirare il Premio. Viene insignita del titolo di Ufficiale al Merito della Repubblica ma, nella sua carriera scientifica non avrà mai dei riconoscimenti specifici per la sua attività. 

A pagina 73 del libro appena uscito Filomena Nitti: scienziata del Novecento – per la collana “I beni storico-scientifici dell’Istituto Superiore di Sanità” curato da Barbara Caccia, Paola de Castro e Giovanna Morini –, troviamo il foglio per la missione della Nitti a Stoccolma e poi a Ginevra. Dal 7 al 23 dicembre 1957, firmato dal Direttore Generale. L’opera, oltre cento pagine, ha l’obiettivo di dare un giusto riconoscimento alle attività svolte dalla professoressa, deceduta trent’anni fa, per la ricerca biomedica. «Evidenziando – scrivono le autrici – anche il suo forte impegno per l’organizzazione del laboratorio e per il benessere del personale». Un lungo racconto arricchito, oltre che dalla ricostruzione storico-scientifica, anche dalle voci di chi ha lavorato con lei. Come Enrico Alleva, etologo che ha firmato la premessa: «Tutti noi giovani del laboratorio eravamo in ansiosa attesa del giudizio dei coniugi Bovet sui nostri scritti».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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