Riconosciamo il nostro valore e teniamoci stretto l'Iban, Cortellesi ci ricorda che nessuna conquista è scontata

Paola Cortellesi nel film "C'è ancora domani"
Paola Cortellesi nel film "C'è ancora domani"
di Michela Andreozzi
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 24 Gennaio 2024, 09:30 - Ultimo aggiornamento: 25 Gennaio, 07:39

LA LETTERA

Cara Michela,

l’hai visto il film della Cortellesi? A me è piaciuto un sacco, proprio tanto, ci ho portato mia figlia, mio figlio no, non ha voluto venire, come il padre. Ci sono tante scene belle ma ce n’è una che mi ha fatto piangere. Perché mi sono vista lì sullo schermo ed è stato uno choc. Mi chiamo Iva, mia madre adorava Iva Zanicchi, ho 55 anni, abito in un paese vicino Roma, 45 minuti di trenino e metro per arrivare in centro, 2 ore se va male, ogni giorno, per andare a pulire, stirare e cucinare in case altrui. Spesso sono sola, spesso sono con i figli di queste famiglie, genitori al lavoro e loro restano soli a pranzo, stiamo insieme. Sto bene, sono allegra e ben vestita. Tutto è cominciato qualche anno fa, una decina, quando una delle signore da cui vado - ma ci diamo del tu, ci conosciamo da anni e siamo quasi coetanee - mi ha chiesto l’Iban per versare stipendio e contributi. Iban, quasi una parola magica, certo sapevo che mio marito aveva il conto in banca, certo lui ci versava i soldi delle ore che facevo a servizio, ma Iban... Me l’ha spiegato lei, mi ha portato in banca e mi ha fatto aprire un conto, un conto mio. Mi sono sentita felice ma anche in colpa. E ora? Sottraevo dei soldi a mio marito? Ai miei figli? Che egoista, ho pensato. Allora ho fatto così un po’ sul conto un po’ cash da dare a mio marito, l’ho detto a tutti i miei datori di lavoro, ne ho cinque, sì mi spacco la schiena, così da non destare sospetti. Ed eccomi sullo schermo, quando la Cortellesi, infila nel reggipetto i soldi guadagnati, quando “li ruba” ...per fare il vestito da sposa alla figlia. Mi sono venuti i lucciconi, eccomi lì, era ieri, ero io. A mia figlia pago l’università e ora si laurea, a me pago i vestitini di piazzale Flaminio, dove arriva il trenino, c’è un banchetto con tutte cose firmate, vesto bene, me lo dicono tutti, e sono allegra. Se non fosse per quel senso di colpa..., ma va tutto bene, alla famiglia non faccio mai mancare il mio contributo ma il mio Iban è solo mio.

Lettera firmata

LA RISPOSTA

Certo che ho visto il film di Cortellesi, e ci ho vinto pure due cene: avevo scommesso che avrebbe incassato più di 20 milioni di euro, ne ha superati 35.

Il suo successo, al netto del fatto che è un bellissimo film, ci racconta che abbiamo ancora bisogno di fare il punto sulla violenza, che sia fisica, psicologica o economica: cioè quella che mi pare il tema della tua storia. Cara Iva, porti il nome di una donna emancipata: indipendentemente delle sue convinzioni, che non sempre condivido, ha vissuto in modo indipendente, e ancora oggi è una donna che non ha paura di parlare, per esempio, di sessualità. Siamo la somma delle nostre esperienze, il risultato di una educazione sentimentale, emotiva, disciplinare, finanziaria: mi piacerebbe sapere da dove vieni, chi ha avuto cura di te, cosa ti ha trasmesso. Abbiamo la stessa età, mia cara Iva, ma i miei genitori erano così originali che scelsero per me il nome di mio nonno, Michele, e non quello di mia nonna Licia (che erano i nonni preferiti; gli altri, i secondi - c’è sempre una classifica familiare - si chiamavano Anna e a Attilio). Oddio, erano originali in tutto: da ragazza ho potuto viaggiare da sola, dormire col fidanzato nella mia stanza, leggere senza censure: mi raccontano che sotto il mio letto convivevano Jane Austen, il Corriere dei Piccoli e Malaparte. Ma comprendo, grazie a questo continuo confronto con voi, che spesso dò per scontati certi diritti che, per mia fortuna, mi sono stati insegnati. Mia madre, quando ho iniziato a lavorare, mi costrinse ad aprire un conto in banca, facendomi promettere che non avrei mai accettato di dipendere da un uomo. L’ho fatto. Sono stata fortunata a nascere al centro del mondo, in una casa borghese sulle mura Vaticane, da genitori progressisti: mi trattavano quasi come un maschio, non fosse stato per alcune legittime paure. Una volta, pur avendo il divieto di andare in motorino, scappai al mare col mio ragazzo, con la sua Vespa che pensò bene di rompersi nottetempo in un’era in cui si sopravviveva a gettoni e cabine telefoniche che, sull’Aurelia negli anni 80, scarseggiavano. Arrivai a casa all’alba: fui accolta con un civilissimo trattamento del silenzio, per altro meritato. All’epoca non si provava a cambiare la società, ci si proteggeva da quella che c’era. Eppure niente ha protetto te che hai vissuto nel mio stesso tempo, nella mia stessa città. Forse ci siamo incontrate sulla metropolitana, o alle bancarelle di Piazzale Flaminio, che anche io adoro: forse abbiamo comprato lo stesso vestito, sentito la stessa canzone, bevuto lo stesso caffè. Io sono stata fortunata e ora ho bisogno che tu riconosca il tuo valore e il tuo diritto a gestire i tuoi soldi frutto del tuo lavoro. Altrimenti della mia fortuna non ci faccio niente. Dovresti tenerlo tutto, il tuo stipendio. Ma soprattutto, non dovresti più sentirti in colpa qualsiasi cosa tu decida di farne, fosse anche comprare tutta la bancarella. Mi spiace che tuo marito e tuo figlio non siano venuti al cinema con te. La prossima volta, compra loro il biglietto. In regalo. Con i tuoi soldi. E magari ci vedremo in sala, con lo stesso vestito, un Iban per ciascuna.

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