Il racconto dalla prima linea/ «Dolore, solitudine e sguardi che restano scolpiti nell'anima»

Il racconto dalla prima linea/ «Dolore, solitudine e sguardi che restano scolpiti nell'anima»
di Valentina CHITTANO
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Domenica 15 Marzo 2020, 10:50 - Ultimo aggiornamento: 17:56
Si toglie di dosso i vestiti sul pianerottolo di casa e poi entra direttamente in doccia, quasi senza salutare suo marito e suo figlio che per almeno dodici ore non hanno avuto sue notizie. Ogni giornata ha troppe cose da sciogliere sotto l'acqua bollente. «La tensione, la preoccupazione, gli sguardi del dolore e dello smarrimento. Ma quelli rimangono scolpiti nell'anima». A parlare è Rosaria Misciali, 58 anni, coordinatrice facente funzioni del Reparto Malattie Infettive dell'ospedale di Galatina. Una vita da infermiera in cardiologia, poi, in seguito al riordino ospedaliero, il passaggio al secondo piano della Palazzina De Maria a lavorare accanto al primario facente funzioni Paolo Tundo e a un gruppo di medici e infermieri che oggi più che mai sentono la responsabilità dell'impegno che hanno preso.

Questa emergenza ci sta mettendo a dura prova - racconta Rosaria. Questa settimana appena trascorsa ci ha visti impegnati in uno sforzo fisico e psicologico notevole. Il ruolo di noi infermieri è quello di stare accanto a chi non sta bene per un aiuto concreto nelle cure, ma anche per un conforto umano necessario per riprendersi il prima possibile. Con questa maledetta infezione, la distanza è davvero una brutta bestia. Ho il dovere però di dire che stiamo riuscendo a superare insieme tante piccole e grandi sfide, nonostante tutto». A questa voce, in prima linea tra i corridoi blindati del reparto, suddiviso per zone, fanno da eco le parole del dottore Tundo, infaticabile in una settimana senza tempo e restio a parlare quando c'è bisogno solo di fare. Ma una considerazione l'ha voluta lasciare a chi segue ora per ora l'evolversi della situazione.

«In questi giorni abbiamo affrontato l'inizio di un'onda di cui non conosciamo ancora la portata e la durata - ha scritto in un messaggio il primario qualche notte fa - ma finora, per fortuna, siamo riusciti a non farci travolgere, grazie all'esperienza, alla professionalità, alla voglia di renderci utili, alla capacità di fare squadra e anche a un po' di fantasia. Ognuno di noi ha fatto la sua parte, tutti, anche il personale che ci è stato assegnato in gran fretta e che da un momento all'altro ha dovuto cambiare le sue mansione, trovandosi di fronte a un virus di cui aveva sentito parlare prima solo in televisione. Tutti, senza mai guardare l'orologio, senza farsi sopraffare dalla paura». Le ambulanze che arrivano senza sosta, il tendone del triage da campo per evitare che il Pronto Soccorso possa essere contaminato, tutti gli operatori sanitari sigillati nelle tute, le barelle bio contenitive, le camere a pressione negativa, ogni cosa è il segno tangibile di un fermento sui generis.

«Ogni giornata è serratissima tra dare indicazioni alla squadra sul modo giusto di vestirsi per poter entrare in contatto con i malati, fare i tamponi e restare in attesa del risultato per ore insieme a chi sente di andare incontro a qualcosa di temibile - continua Rosaria Misciali - gestire l'ansia comprensibile dei familiari e allo stesso tempo trovare il modo di rincuorare chi non sta bene. Ecco allora che ci sono i momenti in cui ci prende il pianto, soprattutto pensando alla loro solitudine. Anche chi muore lo fa nel silenzio dell'isolamento, lontano dai propri cari. A questo strazio è difficile far fronte, ma ogni giorno ci uniamo sempre di più nel non perdere mai il lato umano di questa vicenda. Grazie davvero a tutti coloro che lavorano costantemente con dedizione e cuore, anche nell'emergenza».

La faccia di chi si toglie l'ormai noto scafandro a fine giornata è sempre sconvolta. Sembra incredibile che ciò che protegge debba anche allontanare da ciò che si ama, ma la speranza di medici e infermieri è quella di riuscire a trasmettere ai pazienti un po' di coraggio e di compassione, anche attraverso il lattice, la plastica e le maschere.

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