Cultura, arte e politica, qui tutti parlano, ma nessuno ascolta

di Tito SCHIPA jr
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Mercoledì 23 Dicembre 2015, 09:39 - Ultimo aggiornamento: 24 Dicembre, 11:00

Con una famosa battuta, in una delle sue commedie, Eduardo De Filippo, parlando con un rappresentante del Ministero del Turismo e Spettacolo diceva: “Ho fatto teatro tutta la vita, credo di essere piuttosto ferrato sullo Spettacolo, ma di Turismo non so nulla”. Come sempre l'artista precorreva i tempi. Oggi, guardandomi bene dal paragonarmi all'immenso Eduardo, mi sentirei però di azzardare un altro punto di possibile frattura fra due mondi di consueto affiancati, quello della Cultura e quello dell'Arte.

Soprattutto in funzione della Politica, che di fatto li gestisce assieme.
Credo che la Cultura sia qualcosa di valutabile efficacemente in termini razionali. Siamo tutto sostanzialmente d'accordo su cosa sia patrimonio della storia umana, su come catalogarlo, approfondirlo, valutarlo e conservarlo. La Politica, pertanto, mi pare più che legittimata ad annoverarla fra i suoi campi di competenza, poiché le basi stesse della Politica sono - devono essere - razionali, equidistanti, democratiche, basate su giudizi e pratiche che rispondono a meccanismi precisi e condivisi. Ma l'Arte?

Già nel momento in cui tentiamo di definirla qualcosa ci sfugge di mano; di rado esiste una perfetta concordia su ciò che definiamo bello. In base a quali meccanismi razionali può dunque la Politica giudicare, mettere in scala di valori, e di conseguenza scartare o premiare un artista e la sua opera? Nel mio piccolo lo ripetevo in tempi non sospetti, negli anni 70, quando l'intervento pubblico nelle cose del Cinema e del Teatro era una sorta di feticcio intoccabile.

A me sembrava che le sovvenzioni ministeriali avrebbero portato lo spettacolo italiano a uno stallo irrimediabile, per il semplice motivo che non esite un modo condivisibile e definibile di stabilire chi è bravo e chi non lo è. Non mi pare che la realtà mi smentisca. È pur vero che alcuni politici (e qui sto già riferendomi a Tito Schipa e alle vicissitudini del suo rapporto con il Salento) si sono dimostrati convinti e volonterosi, ottenendo dei buoni risultati, ma permettetemi di affermare che prima di essere dei politici quei benemeriti sono delle persone, ed era la persona in loro ad amare, onorare e celebrare il grande Schipa. Perché? Fondamentale: perché lo capivano.

Esiste una xylella altrettando catastrofica di quella che colpisce i nostri splendidi ulivi, un "salamastro" peggiore di quello che colpisce la nostra pietra, e il suo bersaglio è l'orecchio. La crisi dell'ascolto, non solo in Puglia, ma in tutt'Italia, è un fenomeno che mi atterrisce. Tutti parlano, nessuno ascolta. E finché la sordità riguarda le chiacchere altrui, la situazione non sarebbe nemmeno tanto grave. Ma quando si viene a parlare di Arte, le conseguenze sono orribili. Non saper più ascoltare significa non poter più capire, e quando si arriva ad un mago inarrivabile della fonazione qual è Tito Schipa, il non essere in grado di capirlo porta inevitabilmente a ciò che abbiamo sotto gli occhi: la totale vaghezza e inconcludenza di qualsiasi iniziativa che lo riguardi.

Tito Schipa a Lecce è un idolo, e come tutti gli idoli si riduce ad un'icona immobile che invecchia come ogni altro oggetto materiale. Anche Mozart, se si riducesse alla figura ed al nome di un ragazzetto geniale vissuto secoli fa, oggi sarebbe stato rigettato nella sua fossa comune. Ma la sua musica è universalmente ed attualmente compresa, e quindi Amadeus è vivo, vivo nella capacità di ascolto che il pianeta dimostra verso di lui. Ma in Italia anche Mozart per la gente comune chi è? Col film di Forman che lo rilanciava come una sorta di musicista pop il mondo la ha amato anche di più. Noi con quel film abbiamo rivalutato Salieri.

E dunque, chi capisce veramente, chi ascolta in Schipa il rappresentante vivo e rampante non della semplice Opera Lirica, ma dello Spettacolo Musicale in tutte le sue forme? Chi lo percepisce come l'interprete sempre attuale, sempre perfetto del Belcanto ottocentesco, del canto barocco, del verismo novecentesco, della canzone napoletana, del tango argentino, della zarzuela spagnola, dell'operetta italiana, del jazz nordamericano, del cinema musicale, della composizione sacra e profana? Chi si rende conto (e vengo al punto che qui mi preme) dei rapporti strettissimi che legano la sua evoluzione artistica alla terra delle sue origini, al punto che nel suo Dna canta, recita, ama e delira il veleno scatenante della Tarantola?

In un progetto di cinema Musicale che accarezzo da anni il morso della taranta colpisce Tito prima ancora della nascita, scorre nelle sue vene silente negli anni dell'evoluzione artistica, esplode all'improvviso durante una leggendaria recita portoghese, rivelandogli una dimensione insieme estatica e delirante dello stare in scena che lo consegnerà all'immortalità. Se questo fillm si farà, sarà il mio manifesto di quello che vorrei fosse il nuovo rapporto del Salento con Schipa e del mondo con il Salento. Nel nome del suo multiforma Usignolo la Terra del Rimorso potrebbe prosi al cospetto del pianeta come il luogo in cui si coltiva, si sperimenta e si premia tutto ciò che concerne lo Spettacolo Musicale nella sua interezza e poliedricità. Non la sola Opera. Chiamare Schipa tenore è come dare a Benedetti Michelangeli del pianista da piano bar. Si facciano concorsi, sì, ma si inviti il mondo a presentare qui nel tacco d'Italia i suoi talenti di quella che anche Rossini e Wagner non chiamavano Opera, ma Commedia Musicale.

Non esiste artista più completo di quello che può cantare, recitare, ballare, mimare, dirigere, scrivere, comporre. Schipa era questo, e questa sua unicità dovrebbe essere quella celebrata, valutata e incoraggiata nella sua terra, tutto sotto il segno magico dello scatenamento dionisiaco, in nome di quella taranta che non dev'essere un'antitesi a valori antichi e gloriosi della nostra scena musicale, ma li deve accogliere, inglobare e - sicuramente - nobilitarli ancora di più.

In conclusione, carissimi conterranei di questo mio Padre glorioso, se vogliamo riaccendere davvero la luce che nel 700 balenò nel meridione d'Italia con la nascita dell'Opera Buffa e che fu la vera radice dello Spettacolo Musicale universale, smettiamola di autofustigarci, di piangere sulle trascuratezze e le distrazioni di Lecce verso il suo “Titu”, abbandoniamo questo comodo cilicio e facciamoci invece mozzicare! Che il morso del mitico ragnetto riattiri l'attenzione del mondo intero. Si abbia il coraggio di essere baccanti, sfacciatamente, festosamente, come i giovani di tutta Europa chiedono a questa terra con sempre maggior evidenza.

Alle persone che intravedono una strada in queste considerazioni, alle persone, si badi, siano esse “anche” politici o “anche” imprenditori privati, alle persone che siano disponibili ad un incontro comune, sarei davvero felice di poterne parlare ancora.
Tito Schipa jr