Coronavirus, altro che Cina: il vero modello è quello di Taiwan. Ecco come l'isola ha fronteggiato l'emergenza

Coronavirus, altro che Cina: il vero modello è quello di Taiwan. Ecco come l'isola ha fronteggiato l'emergenza
Coronavirus, altro che Cina: il vero modello è quello di Taiwan. Ecco come l'isola ha fronteggiato l'emergenza
di Enrico Chillè
5 Minuti di Lettura
Lunedì 6 Aprile 2020, 20:00

Da quando è esplosa, a livello mondiale, l'emergenza coronavirus, si è parlato a lungo prima di un 'modello Wuhan' per parlare del lockdown totale e poi di un 'modello italiano', dal momento che le misure restrittive scelte dal Governo Conte sono state le prime prese nel mondo occidentale. Semmai si possa parlare di un vero esempio da seguire, tuttavia, occorre guardare fuori dalla Cina, anche se a breve distanza: ad oggi, i risultati più efficaci sono stati quelli ottenuti dal governo di Taiwan.

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Il 'modello Taiwan', infatti, prevede una lunga serie di misure restrittive, che hanno trovato la loro forza nella rapidità con cui sono state adottate. I numeri, inequivocabilmente, lo dimostrano: dall'inizio dell'emergenza, nella seconda metà di gennaio, a Taiwan i casi accertati di positività da Covid-19 sono stati in tutto 373 e i decessi appena cinque. I dati, tra l'altro, appaiono decisamente più affidabili rispetto a quelli diffusi ufficialmente dalla Repubblica Popolare Cinese. L'efficacia delle misure prese da Taiwan è resa anche dal confronto con l'Australia: entrambi i paesi hanno un territorio insulare e hanno adottato i primi provvedimenti contro il coronavirus nello stesso giorno (il 25 gennaio scorso), ma con esiti diversi. Se in Australia i decessi accertati ufficialmente sono 41, i casi di contagio superano le cinquemila unità. Ma come ha fatto il governo di Taipei ad ottenere dei simili risultati?

La prima ragione è quella dell'esperienza. Taiwan, infatti, nel 2003 fu uno dei paesi asiatici più colpiti dall'epidemia della Sars e nel paese ci furono 150mila persone messe in quarantena e 181 morti (su una popolazione che allora ammontava a circa 22 milioni di abitanti). Memori dell'esperienza passata, sia i cittadini che le istituzioni di Taiwan hanno reagito con prontezza al dilagare del Covid-19: già alla fine di gennaio, ad esempio, tutti i cittadini avevano iniziato a girare con delle mascherine per limitare i contagi.

Il secondo punto di forza del 'modello Taiwan' riguarda un fatto strutturale: nella repubblica semipresidenziale, infatti, la sanità è pubblica, universale e tra le migliori al mondo. Non appena si era diffusa la notizia ufficiale dell'epidemia di coronavirus, tra l'altro alla vigilia del Capodanno cinese, le autorità sanitarie di Taiwan avevano deciso di agire immediatamente, mentre altri paesi asiatici ancora discutevano (e tentennavano) sul da farsi. Il timore era che l'epidemia potesse dilagare, alla luce della vicinanza geografica e dei rapporti economici con la Cina: proprio per questo, fu immediatamente disposto un divieto di accesso ai viaggiatori provenienti da diverse province cinesi (non solo quella di Hubei) considerate a rischio.

Al tempo stesso, Taiwan aveva deciso di imporre rigidissime norme di quarantena ai suoi abitanti, con pene severe in caso di violazioni, di stimolare la produzione domestica di mascherine da affiancare a quella locale e di eseguire ingenti opere di sanificazione dei locali pubblici. Un'altra chiave del 'modello Taiwan', tuttavia, è stata quella di effettuare il maggior numero di test nel minor tempo possibile, sia sui pazienti sintomatici (compreso chi nelle settimane precedenti aveva sviluppato polmoniti anomale), sia su quelli asintomatici. Contemporaneamente, il governo aveva deciso pene severe anche per chi diffondeva notizie false sulla diffusione del virus.

La Cnn, per illustrare il 'modello Taiwan', ha intervistato gli autori di uno studio condotto dall'università di Stanford e diretto proprio da un medico taiwanese. «Quanto accaduto a Taiwan dovrebbe essere un esempio per i paesi di tutto il mondo: hanno saputo fondare una sanità pubblica efficiente, in grado di fronteggiare rapidamente emergenze come quella della Sars nel 2003. E questo ha apportato molti più risultati rispetto ai controlli intensificati sui viaggiatori provenienti dall'estero» - ha spiegato il dottor Jason Wang - «Molti dicono che solamente un governo autocratico come quello della Cina poteva ottenere risultati efficaci, ma Taiwan ha dimostrato che è possibile stabilire norme di quarantena e isolamento anche senza l'uso della forza».

Un altro aspetto del 'modello Taiwan' riguarda l'economia nazionale: il paese aveva vietato immediatamente l'esportazione all'estero di ogni genere di mascherine per tutta la durata dell'emergenza, allo scopo di soddisfare le necessità interne, ed ora che i risultati sono sotto gli occhi di tutti ed il peggio sembra essere passato, è iniziata la fornitura a paesi esteri, con la donazione di 10 milioni di pezzi a vari stati, tra cui l'Italia.
A questo punto verrebbe da chiedersi: perché il mondo occidentale non si è mai accorto del successo di Taiwan nell'ambito della lotta al coronavirus? Ci sono almeno due ragioni di natura politica. La prima è che Taiwan non fa parte dell'Organizzazione mondiale della sanità, la seconda è che il paese è ancora visto come troppo influenzato dal potente vicino (senza dimenticare che la Cina rivendica ancora la sovranità sul territorio dell'isola). Le istituzioni taiwanesi, nelle ultime settimane, avevano anche denunciato: «La mancanza di un filo diretto con l'Oms ci ha penalizzato, per i dati sui contagi loro facevano affidamento sulla Cina anche per quanto riguarda il nostro territorio, quindi abbiamo deciso di non seguire le loro linee-guida e agire da soli».

Ora che Taiwan ha superato il peggio, la presidente della Repubblica, Tsai Ing-wen, ha annunciato: «Possiamo aiutare altri paesi ed è quello che faremo. Stiamo inviando materiale sanitario per fronteggiare la pandemia ma l'esclusione dall'Oms ci impedisce di contribuire a livello globale». Ad impedire a Taiwan di riaccedere all'Oms, però, c'è l'ostracismo cinese, che ovviamente non riconosce l'isola come uno stato indipendente.

Questo, però, è un dissidio geopolitico che non può in alcun modo sminuire l'efficacia delle misure prese da una piccola isola capace di fare tesoro delle esperienze passate.

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