Pagano, cantore ribelle condannato all'oblìo

Pagano, cantore ribelle condannato all'oblìo
di Claudia PRESICCE
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Lunedì 27 Gennaio 2020, 18:05
O più non è possibile / ritessere, per noi, le vesti d'oro? / E nuda, aggrovigliata nel suo fango, / si torce la risibile / carne dei nostri sogni. Silenzio. Rileggiamo lentamente. La deflagrazione di questi versi sembra raccontarci, fotografare, le nostre angosce più profonde, quella disillusione che urla contro il presente. Con poche parole contorte, qui un poeta dà voce allo struggimento di una fine. Coglie il rumorio della speranza che va in pezzi, l'odore del polverizzarsi del sogno. Come solo i miracoli della poesia possono fare, sembra parlare dell'oggi, della nostra società: sembra cogliere l'amarezza di chi ha pensato un mondo diverso e sta, oggi più che mai, realizzando la disillusione, il tradimento della Storia.
La carne dei nostri sogni' migliori è oggi davvero finita nel fango. Quanto è potente questo pensiero Eppure questa voce poetica, fino ad oggi introvabile in libreria, arriva da un lontanissimo Novecento: è quello disegnato dal neorealismo ribelle di Vittorio Pagano, il poeta cantore ermetico' nato cento anni fa a Lecce e, soltanto oggi, finalmente ripubblicato in un'opera omnia. Tutti i suoi canti sono infatti raccolti in Poesie di Vittorio Pagano a cura di Simone Giorgino.
Torna oggi Pagano al centro dell'attenzione della sua città natale, che non è stata con lui sempre culla ospitale. Neppure stupirebbe se la descrizione in versi dell'amarezza scelta per l'incipit (tratta da Seconda ipotesi ne I privilegi del povero dedicata all'amico Orio P.Casarano, giovane poeta suicida) l'avesse destinata proprio ad essa che tanto lo ha fatto disperare disdegnando il suo voler vivere da poeta e mortificando il suo spirito libero fuori dai canonici accademismi. Non fu un caso infatti se in una lettera del dicembre 1978 (un mese di prima di morire) il poeta sessantenne scrivesse: Morte al Pagano! D'altronde, è già la mia terra natia a volermi defunto da un pezzo, ad aver decretato la mia de-funzione di fatto e di diritto, emarginandomi ed anzi cacciandomi a calci in culo dal Parnaso locale.
Poco poetico' per un uomo di lettere del secolo scorso, vero? Ma la sua espressione chiarisce la chiusura di una città ristretta, piena di steccati che ancora oggi la inghiottiscono nel nulla del Parnaso di turno. Racconta del dolore di tanti artisti, poeti e talenti di questo Sud creativo che qui, nella loro casa, si sono sempre sentiti emarginati, dimenticati (e tutti si sentono ancora così) Oggi con questo nuovo libro si potrà ricominciare ad abbracciare materialmente Pagano avendo in mano tutte insieme le sue poesie (quelle edite almeno). Mancavano in libreria da anni, e il lavoro è stato lungo e lentissimo (per il nulla che qui inghiotte facilmente le cose più belle, creative, libere e poco ortodosse, dunque ingestibili).
Il nuovo volume rientra nella collana Novecento in Versi e in Prosa diretta da Antonio Lucio Giannone. E non è un caso. È stato Giannone, docente di Letteratura Contemporanea all'Università del Salento, insieme a pochissimi altri suoi colleghi, a tenere aperto il fascicolo Pagano per i decenni in cui quel poeta, che da qui tenne rapporti con i più illustri letterati del 900 e fu da molti di loro recensito come grande, è stato lasciato nell'oblio. E non è un caso che il curatore del volume sia Giorgino, coordinatore del Centro di ricerca Pens (Poesia contemporanea e nuove scritture del Dipartimento di studi umanistici dell'Università del Salento) fondato dallo stesso Giannone (ecco i pochissimi' studiosi in seno all'università). Per la prima volta, sono qui riunite tutte quelle antologie poetiche che Vittorio Pagano dette alle stampe durante la sua vita (e lo fece in poche copie eleganti e numerate). Ritroveremo quindi Calligrafia astronautica, I privilegi del povero, Morte per mistero, Zoogrammi.
Questa prima ripubblicazione di versi introvabili è presentata in una ricca introduzione generale dal curatore, mentre le poesie, senza note o parafrasi, sono lasciate libere di volare tra i tanti che volevano conoscere il poeta leccese e tra chi vuole approfondire le opere diverse. Si scopriranno dinamiche e musicalità estremamente contemporanee tra i versi di Pagano, troppo facilmente definiti oscuri ma invece ricchi di un pathos naturale, animale a tratti, dove le sensazioni attraversano la parola, oltrepassando il significante classico e arrivando comunque dritte. E si potranno aprire finalmente nuovi approfondimenti critici, anche nelle scuole, e recuperare suoni e colori di Lecce agli occhi del suo' poeta più intenso e ripiegato sui luoghi natii che producevano quel suo dire barocco', come ricorda Giorgino (citando Fallacara).
Alla fine Pagano è l'unico che è rimasto sempre qui. Vittorio Bodini si trasferì a Roma, Oreste Macrì a Firenze. Eppure, da questa periferia, da accanito lettore, lui respirava l'Europa. Come scrive Giorgino, Pagano è stato l'ultimo custode di una koiné ermetica in un'epoca, fra il secondo dopoguerra e la fine degli anni Sessanta, segnata da tante adesioni o conversioni al neorealismo prima, e dall'emersione delle istanze neoavanguardistiche poi; ed è stato un abile cesellatore delle forme chiuse quando ormai si iniziava a diffondere un dettato sempre più lasco o magmatico.
Nato a Lecce il 28 settembre del 1919, da numerosa famiglia contadina unico figlio maschio tra sei altre sorelle scrive Giorgino (una di queste, l'adorata Angela artista anche lei, divenne madre e nonna dei pittori Ugo e Vittorio Tapparini), tranne per il militare durante la Seconda guerra mondiale, visse tutta la sua esistenza a Lecce pur intrattenendo relazioni importanti con il mondo letterario del suo tempo. Sposò Marcella Romano nel '56 da cui ebbe l'unico figlio, Stefano Pagano che oggi, da Firenze, collabora alle iniziative per valorizzare la figura del padre. Tra i cenni biografici importanti per capirne la personalità va detto che Pagano collaborò con la rivista L'Albero e soprattutto curò l'inserto letterario della rivista Critone dal '56 al '66 che, come spiega bene Giorgino fu l'avamposto meridionale della resilienza ermetica. Per i Quaderni del Critone in cui comparvero raccolte di Carlo Betocchi, Piero Bigongiari, Mario Luzi, Alfonso Gatto, Alessandro Parronchi e tanti altri, nel '61 fu premiato con la medaglia d'oro dal Comune di Firenze (sì Firenze, non Lecce) che riconobbe a Pagano grandi meriti nel campo dell'editoria poetica.
L'altra faccia del suo sogno poi fu la Francia, sua seconda patria elettiva, tanto da dedicarsi con partecipazione alle traduzioni dei poeti maledetti e poi, fino all'ultimo, al suo capolavoro rimasto inedito, la traduzione della Chanson de Roland.
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