Veneziani: antidoti all'eterno presente

Veneziani: antidoti all'eterno presente
di Alessandra LUPO
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Giovedì 28 Marzo 2019, 09:51 - Ultimo aggiornamento: 29 Marzo, 12:56
È già alla terza ristampa l'ultimo libro di Marcello Veneziani, che torna in Puglia per un giro di presentazioni di Nostalgia degli dei, (Marsilio editore). Un libro di respiro ampio, non solo per la profondità e vastità dei temi che affronta: Civiltà, Patria, Famiglia, Comunità, Tradizione, Mito, Destino, Anima, Dio, Ritorno. Ma anche per l'approccio storico della sua analisi, che attinge a circa quarant'anni del suo pensiero.
Hanno scritto di questo libro che è una sorta di summa del suo pensiero filosofico, ma anche politico. Possiamo parlare di un libro esistenziale?
«Direi di sì, è il compendio di un'opera ma anche un tentativo di mettere insieme una visione della vita, un modo di rapportarsi al mondo e alle cose che sono state, quindi ha senz'altro una dimensione esistenziale».
Questo libro affronta dieci parole chiave, corrispondenti ad altrettanti dei. Sono le forme di platonica memoria corrispondenti ad archetipi di cui l'uomo secondo lei ha smarrito la protezione fino a non percepirne più la presenza e vivere nella provvisorietà. Ma c'è anche l'ambizione di rifondare in ognuno di questi campi oggi desertificati della vita umana. Una visione ottimista oltre che nostalgica?
«C'è la convinzione che l'unico modo per avere un confronto con i princìpi intramontabili che fondano la vita sia tornare alla loro origine. Quindi ognuno degli dei non è visto attraverso una lente nostalgica, con il rimpianto di quello che fu 100 anni fa ma viene percorso all'indietro fino all'inizio. Un modo per ritrovarli nel presente sapendo che la loro essenza non dipende dai tempi che viviamo ma sono la ragione stessa della nostra umanità: siamo uomini perché abbiamo questi principi altrimenti saremmo oggetti che vagano nel mondo».
Il suo libro arriva in un momento molto particolare dal punto di vista globale: lei affronta in più punti l'idea di crisi facendo appello a un pensiero forte che si opponga costruttivamente allo status quo. Da dove potrà arrivare?
«Dal confronto tra il nostro limite e la necessità di avere punti fermi. Un pensiero che rifiuta la vertigine del nostro tempo: la smania di sconfinare, abbattere muri. Io parto dalla visione opposta: proprio perché abbiamo limiti dobbiamo trovare dei punti superiori a noi».
Una visione spirituale insomma?
«Non è un libro teologico ma come diceva San Bonaventura il cammino dell'uomo è comunque verso Dio. Noi siamo di passaggio ma ci sono dei e princìpi che proseguono al di là del nostro percorso di vita. Ed è bene tenerlo presente».
Lei parla del Mito come antidoto alla volatilità dei nostri giorni a quel sentimento dell'odiernità che ci ha resi ancora più alienati e schiavi della sovranità della tecnica. Come può la civiltà ritrovare i suoi miti?
«In primo luogo connettendosi: siamo iperconnessi tecnologicamente ma sempre più disconnessi dal passato, dal futuro e dal trascendente e viviamo imprigionati nel presente. Riconquistare il contatto con queste tre dimensioni vuol dire riconquistare una umanità. L'uomo deve guardare al cielo non può solo digitare o giocare in borsa».
Tra le parole chiave che intitolano i capitoli ce ne sono alcune che riconnettono all'idea di accoglienza (civiltà, patria, comunità, destino, ritorno). Si sente in linea con le politiche adottate dal governo italiano su questo tema?
«Credo che sia giusto salvaguardare il senso del confine, dell'identità delle persone e dei popoli, un punto di partenza importante. L'idea che il piccolo possa accogliere il grande, in questo caso la piccola Italia contenere la grande Africa per fare un esempio, è oggettivamente un'utopia irrealizzabile. Più giusto è stabilire delle soglie e programmare l'accoglienza partendo dalla considerazione che la perdita della propria identità e lo smarrimento della civiltà non sono cose positive: la globalizzazione come perdita di ciò che siamo porta all'annegamento di fattori fondamentali per l'uomo e la sua vita».
Si ritiene ancora un intellettuale di destra? 
«Intellettuale e destra sono parole difficilmente utilizzabili, ti fanno sentire una figura mitologica, quasi un animale inesistente. Da una parte gli intellettuali hanno da tempo perduto la loro centralità nel dibattito e dall'altra le categorie politiche sono ormai sempre più stanche. Nella dialettica contemporanea posso accettare l'idea che vi siamo argomenti riconducibili a una sensibilità piuttosto che all'altra ma quando si parla di temi veri queste categorie svaniscono».
Nel libro si parla anche di Ritorno e di Patria. Sta tornando a presentarlo in un tour nella sua Puglia dopo un primo giro di presentazioni. Un aspetto simbolico per lei?
«Torno per la seconda volta e per me è la realizzazione del capitolo finale del libro che parla del ritorno: è bello poter tornare a casa a presentare il frutto del lavoro di un figlio di questa terra».

 
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