Nardò e la Resistenza nella lotta di liberazione

Nardò e la Resistenza nella lotta di liberazione
di Claudia PRESICCE
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Venerdì 10 Settembre 2021, 05:00

La Resistenza. Alla luce del presente la Storia può sembrare camaleontica, cambiare colore come materia iridescente secondo i bagliori che riceve. In realtà la sostanza di una pagina fondamentale per la nascita della democrazia in Italia come la Resistenza partigiana contro il fascismo (e le sue simpatie naziste) non cambia. E non può cambiare neanche attraverso modaioli revisionismi o funamboliche riletture bipartisan.
Nel libro “La Resistenza dei neritini nella Guerra di Liberazione (1943-1945)” lo studioso Mario Mennonna (che ne è l’autore) parla anche della necessità di riappropriazione comune della Resistenza, di una larga condivisione della memoria di questa grande storia al di là dei limiti ideologici (positivi e negativi) di cui è stata rivestita e dei miti che la rivestono. 

L’antifascismo è stato, ed è tuttora, un sentimento condiviso trasversalmente (ancora c’è qualche confusione tra chi lo associa al comunismo, con cui certamente ha una base comune, ma non un rapporto esclusivo) e sarebbe il caso che oggi se ne parlasse in tal senso anche nell’area cosiddetta “moderata” della politica, dove invece rimbalzano spesso strane serpeggianti maschere inneggianti al rude Ventennio di dittatura (e trovano pure sponde comode quanto inaccettabili). Anacronismi temibili della contemporaneità, da non perdere di vista, che Mennonna fa risalire proprio alle letture storiche distorte che forniscono “l’alibi alla destra per tenersi fuori dalla storia nazionale e alle frange nostalgiche di destra per combatterla”. Mentre, dice, il riconoscimento condiviso del 25 aprile “può dare inizio al processo di resurrezione della Patria, rendendo nobile la nostra epoca contemporanea”.

Un'importante pagina di Storia

Detto questo però, va chiarito subito che il libro parla di molto altro. A fronte della necessità di riparlare della guerra di Liberazione e di quella storia italiana del ‘900, lo studioso ha aggiunto con questo piccolo volume un tassello importante. Perché dal particolare all’universale, seguendo aristoteliche procedure, dalla piccola storia dei resistenti dimenticati della Puglia, e in particolare di Nardò, si vola in quella più grande. Comincia intanto col sottolineare che quello del Sud non è stato affatto un “vento” più freddo di quello settentrionale rispetto alla Liberazione dal nazifascismo

Il ruolo dei combattenti pugliesi

Molti pugliesi, all’indomani dell’8 settembre, parteciparono alla Resistenza e molti dei comuni delle zone invase dai tedeschi, dal barese al tarantino fino al foggiano, in vari momenti si ribellarono agli invasori subendo anche pesanti conseguenze. In molti “combatterono strenuamente si schierarono con i partigiani e imbracciarono le armi e si scagliarono senza paura contro i reparti della Wehrmacht arrivati a Bari, pur essendo semplici ragazzi, poco più che bambini – scrive nel libro Enrico Carmine Ciarfera (che con l’autore del libro, insieme a Salvatore Calabrese, Gino Caputo, Anna Maria De Benedittis e Antonio Manieri condivide un progetto di ricerca sulla storia della Seconda guerra mondiale) – la reazione tedesca fu naturalmente violenta: nel Nord della Puglia e nell’Alta Murgia, i nazisti commisero orrende stragi, soprattutto contro soldati sbandati e cittadini inermi”. Basterebbe ricordare il terribile eccidio di Barletta del 12 settembre 1943 commesso dalle truppe tedesche.

Tante le vittime di Nardò nella lotta al nazifascismo

Anche dal Salento sono dunque partiti i Resistenti, e molti non sono mai tornati, e tanti sono stati i militari ribelli pugliesi che non hanno aderito alla mussoliniana Repubblica Sociale italiana e sono stati deportati nei lager tedeschi. Di questi ultimi nella sola Nardò, piccolo ma rilevante centro del Salento ionico, se ne contarono 237, e più in generale si annoverano nel testo ben 144 caduti neretini.

Nessun vento tiepido dunque, anzi, sui muri della cittadina già dal gennaio del ’42 comparvero (pagate a caro prezzo) le scritte: “Italiani, ancora vi farete travolgere da quel mascalzone di Mussolini?”.

In questo libro Mennonna recupera in particolare i dettagli delle storie di un giovane carabiniere, Giuseppe Carrino, “in Piemonte, con il nome di Lecce combattette con la formazione partigiana di Diavolo Rosso; e del brigadiere Luigi Zacchino, successivamente promosso maresciallo, che, rimanendo in servizio nella caserma di Manciano, in Toscana, operò da attivo e prezioso collaboratore dei Partigiani del luogo”. Carrino del ’23, veniva dalle Cenate vecchie e dopo l’8 settembre disertò l’arruolamento con le truppe nazifasciste per partecipare sin dal 1 ottobre alle operazioni delle formazioni partigiane guidate dal sottufficiale Mario Costa, suo commilitone in Francia. Dopo tante imprese proficue Carrino a soli 21 anni cadde in un’imboscata con i suoi compagni il 31 marzo del ’44 sul ponte di Chiusella, denunziati dal questore di Asti intorno ad una cava dove stavano procurando esplosivo.

Zacchino invece, classe 1905 era un brigadiere dei carabinieri e militò da partigiano in Maremma nella Banda Arancio Montauto, riuscendo grazie al suo ruolo a risparmiare a molti giovani la chiamata alle armi, naturalmente rischiando più volte in prima persona. Per le sue imprese ebbe varie onorificenze dopo la guerra.

“Giuseppe Carrino e tanti altri giovani del periferico Sud, lontano dal Nord, occupato e straziato, e Luigi Zacchino, dinanzi ad efferatezze ebbero la capacità di essere ribelli per amore e di sacrificare o mettere a rischio la propria vita affinchè le nuove generazioni potessero, sul loro esempio, dedicare i loro anni a costruire nuove società portatrici di pace e ariose di libertà, di rispetto, di dignità, di impegno civico, morale culturale”, scrive Mennonna.

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