Cinque tappe nel Salento, Carmelo Bene poeta eretico

Oggi alle 18 alla Biblioteca Bernardini di Lecce saranno presentati la piattaforma digitale dell’Archivio Carmelo Bene e il volume “Da questo altrove, Carmelo Bene e il Sud del Sud dei Santi. Una cartografia”, a cura di Simone Giorgino e Alessio Paiano, edito da Kurumuny.

La copertina del libro
La copertina del libro
di Vincenzo MARUCCIO
4 Minuti di Lettura
Venerdì 15 Marzo 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 23:33

La Puglia e il Salento oltre lo sguardo ordinario. Oltre ogni identità scontata, oltre le ricostruzioni sociologiche che si fermano alle apparenze. Il paesaggio che è molto di più di un luogo fisico, di una bella cartolina, di un orizzonte a uso e consumo dei turisti. Ci manca Carmelo Bene che, più di ogni altro, ha fatto dell'eresia la strada maestra per alzare il velo su ciò che pensiamo e non abbiamo il coraggio di dire, su ciò che siamo e non abbiamo la forza di ammettere. Uomo di teatro, intellettuale, scrittore, regista e molto altro che lui, per primo, avrebbe sconfessato di essere: nato nel "Sud del Sud dei Santi", per usare una delle sue invenzioni più felici, e che da qui non se n'è mai andato neanche quando il suo nomadismo culturale lo ha portato in giro per l'Italia e per il mondo. Nato e qui ritornato: prima a Otranto nella casa con terrazzo affacciato sui Bastioni e poi - per sempre - nella tomba di famiglia della piccola Vitigliano, a due passi dal mare blu cobalto dell'Adriatico. A sancire un legame ineludibile con la Terra d'Otranto da sempre riconosciuta come terra generatrice: un po' Magna Grecia culla di civiltà, un po' Itaca come un novello Omero, inevitabile frontiera con bizantini e arabi "cugini" di Mar Mediterraneo.

"Da questo altrove" è il titolo del nuovo libro pubblicato da Kurumuny che, riprendendo un passaggio di uno dei suoi rari articoli pubblicato sui giornali, racconta, ricostruisce e analizza il rapporto di Bene con la Terra d'Otranto come finora non era stato fatto: originale intuizione che mette insieme una serie di brevi saggi affidati a studiosi della sua multiforme opera e un itinerario dei luoghi (o non-luoghi come preferirebbe chiamarli lui stesso) della vita di Bene attraverso antichi documenti, fotografie in bianco e nero e immagini puntellate dalle sue parole volutamente disperse in mille rivoli.

Il volume 

Nella prima parte ben 14 studiosi chiamati a dare un contributo su temi cardine come il rapporto con l'amato-odiato barocco o opere di riferimento come "Nostra Signora dei turchi", e altri inediti come il legame con Vittorio Bodini o l'immaginata consonanza con il Pensiero meridiano di Franco Cassano. Nella seconda parte una mini guida biografico-culturale tra scuole adolescenziali, panorami mozzafiato sull'Adriatico e ritorni improvvisi alle illuminazioni ancestrali dell'infanzia nei cinque comuni che lo hanno segnato: la natia Campi, Lecce, la Copertino del Santo dei voli, Otranto e Santa Cesarea Terme delle vacanze in famiglia. Da visitare perfino, come una Lonely Planet personalizzata ma senza stellette di ristoranti o "consigli per gli acquisti".

Ridurre tutto ad una mappa, sia pur suggestiva, sarebbe fuorviante. Come spiegano i curatori del libro - Simone Giorgino e Alessio Paiano - è una sorta di cartografia quella che alla fine emerge e che a Bene sarebbe probabilmente piaciuta perché scevra da catalogazioni storicistiche a tutti i costi. Più rapsodica che cronologica, volutamente non esaustiva e lasciata aperta ad eventuali contraddizioni: una cartografia poetica, come si dice in questi casi, e qui siamo forse alla vera essenza. Del libro sicuramente. Forse anche di Bene per come potremmo definirlo senza timore di sbagliare o di essere da lui bacchettati. Bene che disfa le parole, entra nella loro carne viva, le ricostruisce e ne esalta le più recondite sinestesie attraverso inaspettati ossimori e ardite metafore come è raramente accaduto, a ben guardare, nel Novecento italiano. Non tanto e non solo per capire il senso filosofico e concetto di quelle parole (obiettivo che poco lo interessava), ma soprattutto per ritrovarvi la verità più inafferabile - o quanto c'è di più vicino ad essa - attraverso i suoni e la bellezza estatica rivelatrici molto più di tanti ragionamenti politically correct.

È la Terra d'Otranto che prepotentemente s'impone in "Da questo altrove": unicum irripetibile tra le montagne d'Albania all'orizzonte nei giorni di chiara luce e la terra rossa come la tempera di una tavolozza, tra l'azzurro abbacinante del cielo e la pietra ingiallita delle chiese-sculture. Un paesaggio dove l'uomo sembra scomparso, ma che non è solo suggestiva geografia. Piuttosto uno spazio geo-estetico dove l'immaginazione conta più della storia di un monumento o di un'insenatura buona per un selfie. Cosa e come avrebbe raccontato la Puglia e il Salento di oggi con il suo boom turistico e il suo appeal modaiolo non lo sappiamo. Come pure non sappiamo se la sua poetica del "depensamento" - ereditata da Schopenauer e ritrovata in San Giuseppe - avrebbe resistito ai grandi cambiamenti degli ultimi 20 anni che sembrano aver sconfessato la sua poetica della Terra d'Otranto "estromessa dalla storia". Eppure ci resta la felicità di un'illuminazione ogni volta che Bene s'inoltra in un luogo provando a restiturcene l'essenza - cangiante e mai uguale a se stessa - con la sola forza delle parole. Come un Pindaro di fine millennio, come un Rimbaud ebbro di visioni mediterranee: forse la sua vera natura che resisterà al tempo. Oltre il teatro, oltre il cinema, oltre il "tutti contro tutti" del Maurizio Costanzo Show. Senza versi e senza rime. Eppure poeta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA