Leona Woods, la fisica che lavorò all'atomica

Leona Woods, la fisica che lavorò all'atomica
di Claudia PRESICCE
5 Minuti di Lettura
Giovedì 14 Marzo 2024, 17:50
La professoressa Leona Harriet Woods è una delle tante figure femminili determinanti nel loro ruolo professionale che sono state cancellate dalle pagine di storia. Quando infatti si parla dell'invenzione dell'atomica e dei fisici del Progetto Manhattan si parla soprattutto di scienziati come Robert Oppenheimer (quello a cui è stato dedicato l'omonimo film pluripremiato agli Oscar nei giorni scorsi) o del grande fisico italiano rifugiato negli Usa per sfuggire al fascismo Enrico Fermi, e di altri celeberrimi protagonisti del mondo scientifico fino ad Albert Einstein (contrario alla costruzione della bomba, ma ideatore della formula di base determinante). Tra i tanti nomi maschili che rimbalzano in questa storia, della brillante fisica Leona Woods che giovanissima fu l'unica donna del team che costruì il primo reattore nucleare, destinato nel bene e nel male a cambiare la Storia, si perdono ingiustamente le tracce.
Per rimettere le cose a posto e dare il giusto rilievo ad una storia umana e professionale straordinaria, Gabriella Greison fisica italiana che si occupa di divulgazione scientifica, di teatro e saggistica, ha scritto il libro "La donna della bomba atomica" pubblicato da Mondadori. Da questo ha tratto lo spettacolo teatrale omonimo che oggi approda a Bari.
Gabriella spieghiamo chi era Leona Woods?
«Mi sono imbattuta in lei durante un'altra ricerca sul fisico quantistico Arthur Compton. Ho scoperto che durante il Progetto Manhattan la sera lui leggeva la Bibbia ad un gruppo di persone e tra queste c'era sempre Leona Woods, una scienziata di cui nessuno però sapeva dirmi niente, neanche in America. Ho iniziato così a studiarla e ho scoperto un personaggio bellissimo, in cui mi sono ritrovata perché anch'io sono una fisica e sin da adolescente mi sono sempre interessata all'atomica e alle possibilità innovative del nucleare. Leona era una donna che aveva fatto quello 60 anni prima quello che io avrei sempre voluto fare. Ho seguito le sue tracce andando dove aveva vissuto a Chicago, Los Alamos, Princeton ricostruendo la sua storia, dedicandole presto un libro e uno spettacolo teatrale».
E che cosa ha scoperto?
«Leona è stata una pedina fondamentale per la costruzione della prima bomba atomica, quella al plutonio, perché lavorava a stretto contatto con Enrico Fermi. E ho potuto scoprire anche tasselli di storia sconosciuti anche di quest'ultimo grazie ai suoi occhi, trovandolo un uomo molto dinamico e soprattutto molto avanti nell'accettazione della scienziata donna: per lui contava la preparazione e il merito e il fatto che Leona fosse una donna era solo un valore aggiunto. Lei fu determinante per Fermi».
In che cosa? E quale fu la sua storia?
«Lei misurava il flusso di neutroni, cioè quel flusso fondamentale per la fissione nucleare. Per esempio, a un certo punto il reattore nucleare andò in stallo e Fermi non capiva perché. Lei propose una soluzione che fu decisiva, ebbe l'intuito giusto perché era la più grande esperta di particelle a vuoto. Si laureò a diciotto anni perché era un vero prodigio e a soli 23 anni venne assunta al Progetto Manhattan. Nello spettacolo lei si presenta così: "Sono Leona Woods e ho fatto le stesse cose che ha fatto Fermi, ma con 19 anni di meno e incinta". Infatti in quegli anni si sposò ed ebbe un figlio. Ma niente la poteva fermare: incinta nascondeva il pancione sotto enormi tute da lavoro per evitare le critiche degli altri fisici nucleari che non sopportavano l'idea che una donna potesse fare quel lavoro. Era un luogo solo di uomini e anche maschilista, ma lei dimostrò di essere più brava di molti di loro. Per il figlio si fece aiutare dalla madre e tornò al laboratorio: l'autista di Fermi John Baudino le disse che aveva superato le contadine italiane rientrando al lavoro solo 4 giorni dopo il parto».
Avvertiva anche il problema etico dell'atomica?
«A 20 anni Leona non comprese il senso dell'operazione, era estremamente felice di lavorare in una ricerca così innovativa, ben pagata e assicurata, cosa che le altre donne a quel tempo potevano solo sognare. Si sentiva una privilegiata a poter "giocare" con la scienza, ma nel corso del tempo lei ha capito l'uso che veniva fatto di quelle tecnologie che stavano creando. Nel mio spettacolo lei è anziana e riguarda a quella stagione della sua vita: si ricorda che quando lesse sul giornale dei 120mila morti per le bombe su Hiroshima e Nagasaki la sua vita cambiò. Prese consapevolezza, prima era una ragazzina che lavorava in un parco giochi per sperimentare la sua scienza, dopo non fu più la stessa. La scienza fa invenzioni sempre evolutive, è la politica che ne converte l'uso: una lama in mano a un chirurgo salva un bambino, in mano a un politico uccide Cesare».
Con il film su Oppenheimer che rapporto c'è?
«La mia ricerca è cominciata nel 2019, ma causa pandemia non son potuta andare negli Usa e ho scritto altri libri. Poi ho visto il film in anteprima in America e la rabbia che lei non fosse neanche citata ha accelerato il mio lavoro. La Mondadori ha capito il valore subito di questa pubblicazione: c'era una lacuna lampante e ho cercato di colmarla. Noi donne della scienza non siamo state neanche rappresentate, il mio libro doveva uscire subito. Perché un film così veicola un'idea sbagliata, tra le studentesse crea frustrazione e voglia di lasciar perdere perché senza considerazione. Presto si farà anche un film su questa storia per rimettere le cose a posto e ne sono molto felice. Questa storia è sconosciuta, neanche in America la conoscono: ho sbobinato interviste audio, ho letto i suoi lavori, scritti di altri del Progetto Manhattan che parlavano di Leona e ho potuto ricostruire il personaggio. Un lavoro enorme di cui sono fiera perché oggi può seguire la scia del film pluripremiato e correggere il tiro».
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