Intelligenza artificiale, Siciliano: «Le scoperte scientifiche sono vitali»

Intelligenza artificiale, Siciliano: «Le scoperte scientifiche sono vitali»
di Pierpaolo SPADA
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Martedì 12 Dicembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 06:35

Una legge per consentire che lo sviluppo dell'intelligenza artificiale non leda i diritti e le libertà delle persone che ne fanno uso o ne subiscono l'utilizzo. Commissione, Consiglio e Parlamento europeo hanno appena approvato l’Ai Act. Ma possono davvero delle norme limitare il funzionamento di una tecnologia creata per determinare il superamento dei limiti di conoscenza? Ne parliamo con il dirigente di ricerca dell’Imm Cnr di Lecce, Pietro Siciliano.


Professor Siciliano, come giudica l'Ai Act? 
«La scoperta e, soprattutto, l’utilizzo di una nuova tecnologia fa sempre paura e spinge le persone a guardarla con un po' di diffidenza. È chiaro che i rischi, soprattutto in questa fase emergente, possono essere enormi, così come però enormi sono anche le opportunità; in tale situazione, con tutti i dubbi del caso sulle modalità di utilizzo è lecito pensare che sia necessario un arbitro; ed è così che si è pensato di arrivare alla formulazione di una legge (l’arbitro), con l’obiettivo di indicare gli usi consentiti e quelli proibiti per tutelare la privacy e gli altri diritti dei cittadini europei, con un sistema di mitigazione dei rischi che dovrebbe essere il cuore dell’impianto normativo. Credo che, dal punto di vista del decisore, sia una posizione politica del tutto accettabile». 


Sul testo, a ricerca e innovazione è lasciata carta bianca. Ma non crede che i "paletti" imposti possano determinare anche un rallentamento delle attività? 
«Quando negli anni ’30 fu scoperta la fissione nucleare si raggiunse un grandissimo risultato dal punto di vista della ricerca scientifica ma nessuno degli inventori pensava che un giorno gli uomini l’avrebbero utilizzata per costruire la bomba atomica. Tutte le scoperte scientifiche, frutto della ricerca, devono andare avanti, perché ci permettono di sviluppare nuove conoscenze e da qui soluzioni innovative. La ricerca e l’innovazione non possono avere paletti; sono invece i risultati della ricerca che devono essere adeguatamente e razionalmente utilizzati dagli uomini e, se necessario, adeguatamente regolamentati nelle applicazioni. L’AI ha fatto irruzione sulla scena molto repentinamente e la sua applicazione responsabile dovrebbe essere una priorità per le aziende al fine di mitigare i rischi e di creare vantaggi competitivi. La sfida a cui sono chiamate le imprese è soprattutto di change management, è nell'aiutare le persone a riconoscere nella tecnologia un valore per migliorare il proprio modo di lavorare, con spirito di riadattamento del sistema produttivo e creando nuove professionalità». 


Ma è davvero possibile limitare efficacemente l’utilizzo di una tecnologia così ancora poco conosciuta dal cittadino medio? 
«L’AI Act introduce una serie di indicazioni per chi le sviluppa e per chi le utilizza, come per esempio una valutazione preliminare dell’impatto, anche per evitare rischi di errori o discriminazioni che fanno emergere la necessità di una supervisione umana, come per esempio quella di informare l’utilizzatore che sta interagendo con una macchina».


La persona comune può davvero riconoscere un’eventuale violazione ai suoi danni per mezzo dell’AI? 
«È un problema aperto e a cui non si può dare una riposta precisa in questo momento.

Molto dipenderà dall’uso che se ne farà. È comunque auspicabile che questo avvenga; ed è per questo che almeno un minimo di regolamentazione seria debba essere garantito». 


Qual è il potenziale utilizzo dell’Ai che più la preoccupa? 
«L’AI è di per sé una disciplina molto affascinante dal punto di vista scientifico. Quello che più mi preoccupa è invece che l’uomo, non lo scienziato, come accaduto in passato, per scopi diversi possa farne cattivo uso».


Considerato che allo stato primordiale l’IA sta già determinando il licenziamento di molte persone, è possibile ipotizzare che in futuro non troppo remoto l’uomo non sarà più in grado di dominarla? 
«L'Italia risulta essere il Paese europeo che professa maggiore positività circa i possibili effetti dell'AI. Di fronte ad una considerevole percentuale di addetti (circa il 39%) convinti del fatto che il proprio lavoro non esisterà più in futuro a causa della diffusione dell’intelligenza artificiale vi è una forte consapevolezza che la propria professione debba essere oggetto di ripensamento e trasformazione, analogamente a quanto successo in precedenti ere industriali caratterizzate da un avvento di nuove tecnologie. Bisogna solo imparare a convivere alimentando lo spirito di adattamento e regolamentando gli utilizzi».
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