Guido Maria Ferilli: 7 note lunghe una vita

Guido Maria Ferilli: 7 note lunghe una vita
di Adelmo GAETANI
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Mercoledì 13 Aprile 2022, 05:00

Compie oggi 73 anni, più di 50 dei quali dedicati alla musica. E festeggia nel suo amato Salento. Ha regalato al pubblico canzoni ormai iconiche, come “Un amore così grande” e “Rumore” conosciute e cantate in tutto il mondo, e tante altre pregevoli composizioni, molte volte animate da una profonda spiritualità. Quasi sempre i compleanni sono l’occasione per tracciare un bilancio della propria vita. Lui non fa eccezione.

Auguri maestro Ferilli. Che cosa vuole dire e vuole dirsi in queste ore?

«Che sono fortunato perché ho potuto fare il lavoro che avrei voluto, ricevendo in cambio grandi soddisfazioni umane e professionali. Ho scritto centinaia di canzoni, moltissime di successo; ho dato forma e concretezza alla mia vena creativa, sono stato riconosciuto come compositore tanto originale quanto capace di trasmettere emozioni. Potevo chiedere di più?».

Quale è stata la sua principale fonte di ispirazione?

«Innanzitutto l’amore, nel significato più completo e universale. L’amore verso chi ti sta vicino, verso gli altri che vuoi incontrare e abbracciare, ma anche verso persone che non conosci. L’amore come sentimento d’integrazione di un’umanità che ha il desiderio di scoprire il meglio di se stessa per costruire ponti relazionali e occasioni di dialogo e di pace duratura. La buona musica dovrebbe servire a questo».

Negli ultimi due anni, prima con la pandemia, che ci ha costretti all’isolamento, e ora anche con la guerra, l’umanità si è riscoperta fragile, attaccabile e, in alcune sue parti sempre pronta ad imbracciare le armi. Come vive questa situazione?

«Con un misto di angoscia, di paura e di profonda incertezza sul futuro. Eppure, anche in momenti così drammatici bisogna coltivare l’albero della speranza con immutata dedizione. Se l’amore è un sentimento eterno, come effettivamente è, dobbiamo credere che il bene vincerà sul male e che le ragioni della vita prevarranno sulla morte».

Ma la musica può addolcire gli animi, alleviare le sofferenze e aiutare l’incontro tra le persone?

«Guardi, è difficile dare una risposta semplice a problemi così complessi. Tuttavia, una mia esperienza, che vorrei ricordare, potrebbe trasmettere qualche utile indicazione».

Ce ne parli.

«Era il 1996 e mi fu chiesto dal Vaticano di scrivere un brano in ricorrenza del 50° anniversario di sacerdozio di Giovanni Paolo II. Fu per me una sfida problematica: un brano per il Papa, mi dicevo? E come faccio, quale musicalità, quale messaggio? Il 1° novembre in una piazza San Pietro gremita e in Mondovisione, fu eseguito e cantato “The Tree of Faith and Peace” (L’albero della fede e della pace). Sul palco tre cantanti: erano l’italiana Manuela Villa (cattolica), l’ebrea Rinat Gabray e la musulmana Samira Said. Quelle voci, che magicamente si fondevano, erano espressione delle tre religioni monoteiste, una a fianco all’altra in segno di amore e di pace. Solo in quel momento, tra la commozione generale, ebbi un fremito e mi resi conto di aver composto un vero e proprio inno alla fratellanza tra i popoli. Era un messaggio dalla profonda spiritualità che poteva riempiere il cuore di propositi positivi e dare buoni frutti. Lo so che non basta questo e che non è tutto, anzi sicuramente è poco, ma spesso qualcosa che sembra avere solo un valore simbolico può incidere positivamente sulla realtà e cambiare il corso delle cose».

Quale reazione ebbe il Papa?

«Quella mattina lui non stava molto bene e seguì la cerimonia dalle sue stanze in Vaticano da dove poteva vedere la Piazza. Mi fu detto poi, da chi gli stava vicino, che era rimasto particolarmente colpito dall’intensità e dalla forza espressiva della musica: fu preso da una grande emozione che si leggeva sul suo volto mentre liberava nel cielo di Roma le colombe della pace».

Crede che un brano come “L’albero della fede e della pace” possa alimentare oggi, in tempo di guerra e di atrocità, un messaggio che metta in guardia le coscienze e le sensibilizzi sui rischi che il mondo e tutti noi corriamo?

«In un certo senso sì, perché quando la musica tocca il cuore cambia in meglio le persone e le rende più disponibili al dialogo. Capisco che molti possono dubitare di quanto dico, ma io per combattere ho solo le armi delle note e delle parole e a quelle mi affido».

Guido Maria Ferilli è uno dei più ispirati autori e compositori di musica “leggera”. Salentino per nascita e per passione, Ferilli ha vissuto 40 anni a Milano, poi appena ha potuto è ritornato a casa per ritrovare i profumi della sua giovinezza, quelli della campagna e del mare. Originario di Presicce, il maestro Ferilli, insignito due anni fa del titolo di commendatore della Repubblica dal presidente Mattarella, vive a Corigliano d’Otranto con l’adorata moglie Desirée e due amorevoli cagnoline, Chicca e Lady, che con l’immancabile pianoforte costituiscono il quadrilatero della sua quotidianità. La vena creativa è sempre fervida, i grandi successi del passato restano custoditi nel prezioso scrigno che raccoglie un patrimonio artistico unico. Cinquecento brani e colonne sonore a sua firma depositati alla Siae, decine e decine di canzoni che hanno sfondato in Italia e fatto il giro del mondo sin dal 1972 quando giovanissimo, aveva solo 23 anni, scrisse la musica de “Il bosco no” alla quale il grande Mogol aggiunse parole cariche di suggestioni. Era una canzone che anticipava le problematiche ambientaliste, per pura coincidenza cantata da Adriano Pappalardo, un altro salentino. Fu l’esordio nella grande musica. La consacrazione arrivò due anni dopo con “Rumore”, primo esempio di disco-music italiana portata da Raffaella Carrà a un successo internazionale - oltre dieci milioni i dischi venduti in pochi mesi in tutta Europa - che continua ancora oggi anche perché quelle note, sincopate e trascinanti, sono state rilanciate recentemente da film come “Ballo Ballo” (Spagna) e “Gli anni amari” (Italia) e dalla fiction di Raiuno “L’amica geniale”, tratta dal romanzo di Elena Ferrante.

È stato scritto che “la musica è Dio che sorride all’uomo”. Lo pensa anche lei?

«Guardi non è solo quello che penso - tant’è che tra le mie composizioni si trovano titoli come “Ave Maria di Ferilli” e “Preghiera” - ma è un punto di incrocio della mia vita e della mia esperienza artistica».

Siamo curiosi di sapere...

«Era il 1976, in quel periodo stavo lavorando con Roberto Vecchioni per la casa discografica di Claudia Mori per la quale avevo scritto una canzone.

Un giorno si avvicina il maestro Detto Mariano, un fuoriclasse in campo musicale, e mi “intima” di preparare un pezzo per Del Monaco. Pensavo stesse parlando di Tony Del Monaco, cantante di successo in quegli anni. Mi corresse subito: quale Tony e Tony, parlo del grande tenore Mario Del Monaco. Mi sentii mancare e sbottai: come faccio? Tranquillo ce la fai, hai quindici giorni di tempo per portarmi il brano».

A quel punto?

«Diciamo che ero disperato. E’ vero, avevo scritto molte canzoni di successo interpretate da big come Raffaella Carrà, Caterina Caselli, Claudia Mori, Mino Reitano, Heather Parisi, Nomadi, Camaleonti, Dik Dik, Rochy Roberts, Donatella Moretti, per citarne alcuni, ma un brano da presentare a un mostro sacro internazionale della musica classica era altra cosa. Mi chiusi nella sala della Casa discografica dove c’era il pianoforte e cominciai nervosamente a battere sui tasti. Passavano i giorni e continuavo a provare accordi e temi musicali senza mai trovare una via d’uscita. A un certo punto sento che ho in testa una melodia che poteva andare bene, stava nascendo “Un amore così grande”. Da quel momento in poi la strada fu in discesa. Prima dei quindici giorni portai il brano a Detto Mariano. Lo ascoltò, mi guardò intensamente e gridò: hai scritto un capolavoro».

E lei?

«Hai scritto? Abbiamo scritto, a quattro mani, risposi volgendo lo sguardo al cielo. Ecco perché penso che da lassù possono arrivare e arrivano sorrisi e luce che accendono o aiutano l’ispirazione. “Un amore così grande” è un brano che ha venduto decine di milioni di dischi, che ha centomila cover, dopo Mario Del Monaco lo hanno inciso i più grandi cantanti italiani, l’ultimo è stato Giuliano Sangiorgi dei Negramaro. Sono di natura ottimista, ma mai avrei potuto immaginare traguardi artistici così significativi e riconoscimenti così ampi e diffusi. Mi viene da pensare a un miracolo».

Sue nuove opere musicali in arrivo?

«Io continuo a lavorare, ma oggi nella musica, come in tanti altri ambiti artistici, gli spazi per la opere di qualità si sono ristretti. Ormai si produce alla giornata e per la giornata, manca la visione, lo sguardo lungo, la voglia di impegnarsi per creare qualcosa di bello che resista al trascorrere del tempo. Molte mie canzoni sono vive, vegete e attuali da quasi mezzo secolo. Evergreen, si dice oggi».

In un’intervista di qualche anno fa mi parlò di un brano composto insieme al cantante Franco Simone, autore del testo. Il titolo era “Benedetto sentimento” e sembrava che fosse piaciuto molto ad Andrea Bocelli. Poi il silenzio. Perché? Non dovrebbe essere un problema incontrarvi e parlarne di persona, visto che lui è di Acquarica del Capo e lei di Presicce, due realtà confinanti che nel frattempo sono diventate un’unica comunità cittadina.

«Diciamo che c’è stata un’interruzione del percorso discografico, ma spero che questa bellissima canzone d’amore, dai toni delicati e poetici, possa riprendere il suo cammino».

Ha scritto Bob Dylan: “Il bello della musica è che quando ti colpisce non senti dolore”. Che ne dice, Maestro?

«Dico che è la verità perché la buona musica bandisce la violenza. Però vorrei rispondere anche con una frase di Albert Einstein: “Ecco quello che ho da dir sulla musica: ascoltatela, suonatela, amatela, riveritela e tenete la bocca chiusa”. Mi sia solo consentito di attualizzare le ultime parole: “…e fate tacere i cannoni”. La missione della musica è di aprire e tenere spalancate le porte alla pace. E oggi questa missione deve diventare ancora più necessaria e impellente».

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