«Il mio metodo geniale, ma senza superpoteri»: cinque lauree a 26 anni

«Il mio metodo geniale, ma senza superpoteri»: cinque lauree a 26 anni
di Giorgia SALICANDRO
5 Minuti di Lettura
Martedì 25 Gennaio 2022, 05:00

In sei anni ha preso cinque lauree: Medicina, Biotecnologia, Ingegneria, Biotecnologia molecolare più un Diploma di eccellenza in Scienze mediche alla Scuola Sant’Anna di Pisa. E tra un esame e l’altro ha trovato anche il tempo di volare a Cambridge nell’equipe della professoressa Maria Grazia Spillantini, scopritrice della proteina del Parkinson, e poi a Harvard dove, pure, non è passato inosservato tant’è che le sue ricerche sono finite nientemeno che su Science. Oggi Giulio Deangeli, padovano classe 1995, fa il ricercatore in Neuroscienze cliniche all’Università di Cambridge, selezionato tra oltre 23mila candidati provenienti da tutto il mondo, e c’è speranza (aggiungiamo noi) che aiuti a sbrogliare qualche terribile enigma sulle malattie neurodegenerative, di cui si occupa. Nel libro “Il metodo geniale”, uscito per Mondadori, ha riassunto le scoperte delle neuroscienze su memorizzazione e apprendimento insieme alla sua personale esperienza di studente. 

Da neuroscienziato lei sa di essere un genio?

«In realtà non penso di avere superpoteri, e non credo neanche che siano necessari. Secondo me un cervello normalissimo basta e avanza per seguire percorsi multipli. A fare la differenza è la motivazione. Dico di più: ho provato sulla mia pelle che aprirsi a più ambiti di studio diventa uno sprone. I primi due anni di Università, quando frequentavo solo Medicina, avevo bisogno di staccare mentre gli anni successivi sono stati decisamente più divertenti».

A 26 anni c’è spazio anche per altre avventure di vita?

«Sì, decisamente. Ad esempio sono molto impegnato in progetti di volontariato, tra cui il mio “A choice for life”, nato per aiutare i ragazzi a orientarsi nella scelta del loro percorso di studi. L’ozio o la chiacchiera fini a se stessi, sarò sincero, non mi piacciono, ma ho tante passioni. Adoro gli aerei e guido simulatori di volo, per tanti anni ho suonato il violino, ora non riesco più ad esercitarmi ma continuo ad approfondire la storia della musica, e forse più di tutto amo programmare: da piccolo creavo giochi o mi lanciavo nella crittografia nascondendo oggetti all’interno di labirinti o immagini, più avanti ho preferito dedicarmi a programmi per studiare, ultimamente al machine learning, la programmazione per l’apprendimento automatico delle macchine, praticamente il nostro futuro».

Come è avvenuto lo switch che ha portato uno studente di Medicina a diventare un eccezionale plurilaureato? 

«Attraverso una serie di momenti illuminanti. Il professor Recchia, il mio tutor al Sant’Anna, citava spesso un articolo scientifico che chiedeva, provocatoriamente, se un biologo sia in grado di riparare una radio. La risposta è no, perché in questo tentativo il biologo che si limiti al suo orticello utilizzerà il paradigma qualitativo che gli è proprio: aprirà la radio, classificherà i pezzi per colore, guarderà al suo interno. Per riuscire nell’impresa dovrebbe semplicemente cambiare paradigma e adottare lo schema proprio degli ingegneri. In sintesi, riassumere tante “dramatis personae” in se stessi è l’unica soluzione, e le lauree sono uno dei molti strumenti, anche se non l’unico, per arrivare a una mentalità plurima».

Ci anticipa qualche consiglio “geniale” valido per tutti gli studenti in cerca di un metodo?

«Spesso i meccanismi della nostra memoria sono molto controintuitivi: leggere e rileggere ad esempio, se non associato ad altre attività non serve a niente, e ci sono dei lavori sperimentali che lo dimostrano.

Il mio progetto di ricerca del primo anno di Università riguardava proprio i processi legati all’apprendimento e in particolare al consolidamento mnestico, per cui ho potuto approfondire fin da subito l’argomento. Come dimostrano le neuroscienze, la nostra memoria funziona entro un paradigma di tipo relazionale, per connessioni, per cui molte mnemotecniche finiscono per essere un’applicazione di nicchia. Un altro principio generale del metodo è l’“effetto spaziatura”: il lasso di tempo in cui ricorderai un’informazione dipende da quanto tempo hai impiegato a memorizzarla, per cui se hai imparato una poesia poco prima dell’interrogazione non ti servirà a molto sul lungo termine. E poi, l’interesse: le neuroscienze confermano che la motivazione intrinseca è quella che fa funzionare meglio ogni processo di apprendimento».

Che cosa consiglia ai liceali impegnati nella loro “choice for life”?

«Credo che quando si sogna di intraprendere un certo percorso di studi o una certa carriera sia importante essere consapevoli del tipo di vita che si andrà a fare. Magari ci si innamora di una materia, ma non si ha idea del quotidiano di chi si occupa di quella disciplina, e non si sarebbe disposti a viverlo neanche un giorno. Per questo ho riunito molti dei migliori giovani professionisti italiani invitandoli a raccontarsi. Io ho fatto il mio primo internato di lavoro in terza superiore, il primo internato clinico in quarta, ma ho dovuto cercarmeli da solo».

Alzheimer, Parkinson, Sla sono nomi che ci fanno ancora tanta paura. Possiamo sperare che smetteremo di averne nel prossimo futuro?

«Sicuramente uno spiraglio c’è, dal momento che lo sforzo per comprendere questi meccanismi fisiopatologici è massivo a livello internazionale, e veramente formidabile. La beta-miloide, coinvolta nella malattia di Alzheimer, ad oggi è la singola proteina più studiata al mondo. Detto questo, le malattie neurodegenerative sono ancora un problema enormemente ambizioso, che non risparmia colpi di scena: ad esempio, oggi si sa che il Parkinson può partire addirittura dall’intestino e non solo dal cervello, come si credeva fino a poco tempo fa. Ciò che è certo è che questo tipo di malattie, pur così diverse tra loro, deriva sempre da una proteina che per qualche ragione inizia ad accumularsi, e quindi prima logora localmente i tessuti, poi si espande, un po’ come fanno i virus o i tumori. Un bersaglio terapeutico importante sarebbe poter comprendere i meccanismi che permettono a questi processi di trasmettersi da un luogo all’altro dell’organismo. È quello di cui mi sto occupando al momento». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA