Fermenti di cultura in nome degli Spioni

Palazzo Marrese
Palazzo Marrese
di Giorgio MANTOVANO
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Martedì 14 Aprile 2020, 14:15
Ci sono luoghi della Lecce antica che richiamano importanti contesti culturali. Nel centro della città, in Piazzetta Ignazio Falconieri, si erge Palazzo Marrese, illuminato nel fastoso prospetto da due coppie di cariatidi ai lati del portone, con un lungo balcone su mensole figurate. I relativi disegni sono stati attribuiti alla personalità eclettica di Mauro Manieri (1687-1744). Di famiglia nobile, chierico di mezza sottana, matematico e censore, dottore in utroque iure, il Manieri fu non solo un insigne architetto ma anche un uomo di grande cultura, appartenente all'Accademia degli Spioni, importante cenacolo culturale nato intorno agli anni Ottanta del secolo XVII.
La città di Lecce, negli ultimi anni del Seicento, stando allo storico e abate Giovanni Battista Pacichelli, era una delle più popolate del Regno, benché, dopo il contagio del 1679, non eccedesse il numero di novemila anime, con più famiglie patrizie che vivono con molto splendore e diversi Baroni, alcuni de' quali però posseggon Feudi, altri con la qualità Dottorale si fan largo nel Magistrato. Le sue strade erano larghe e lunghe con le case fabbricate di pietra bianca nativa, sì dolce che si lavora con la pialla, et al vento indurisce.

In questo contesto nacque l'Accademia leccese degli Spioni, succeduta a quella dei Trasformati, sorta in precedenza, nella seconda metà del Cinquecento, grazie alla nobile opera di Scipione Ammirato (1531-1600).
Da una lettera del 15 luglio 1706, indirizzata dal letterato leccese Domenico De Angelis al marchese Gio.Gioseffo Orsi, accademico della Crusca in Bologna, sappiamo che l'Accademia degli Spioni fu fondata nel 1683 da Oronzo e Diego Cosma, da Angelo Antonio Paladini e Giusto Palma, da Angelo Manieri, medico e letterato originario di Nardò, padre di Mauro Manieri, e da altri ancora. Vi partecipavano giovani intellettuali che, dopo aver compiuto gli studi universitari a Napoli, tornavano nel Salento ricchi di nuovi fermenti culturali.
Nello stemma dell'Accademia erano raffigurati il sole, la luna e le stelle, con al centro un simbolico cannocchiale. L'intento era chiaro, proponendosi, stando a quanto riferisce il De Angelis, autore nel 1713 delle Vita de' letterati salentini, di andare ispiando le cagioni de' naturali avvenimenti e più riposti arcani della metafisica e della geometria.

Era perseguita la libertà filosofica con il deciso rifiuto di ogni autorità precostituita. Oggetto di studio erano la filosofia di Epicuro e Lucrezio, ma anche le ardite geometrie del sistema cartesiano, oltre ai poemi di Omero, Virgilio, Dante, Petrarca e anche dell'Ascanio Grandi. Le modalità per essere ammessi in quel cenacolo erano assai selettive. Tuttavia, colpisce l'alto numero dei membri, tra cui comparivano avvocati, letterati, poeti, filosofi, canonici e studiosi di scienze naturali e fisiche.

Tra quegli accademici comparvero personalità di assoluto rilievo, come Giorgio Baglivi (1668-1707), cui è intitolata la bella piazzetta in cui si affaccia la bella Chiesa delle Alcantarine. Egli fu tra i più celebri medici del suo tempo, precursore del metodo clinico-sperimentale moderno. Nato a Ragusa, in Dalmazia, col nome di Giorgio Armeno l'8 settembre 1668, rimasto orfano in tenera età di entrambi i genitori fu condotto in Lecce da un missionario. Qui trovò protezione presso la famiglia di Pietro Baglivi, noto medico, e fu da questi adottato e educato, ereditandone il cognome e le sostanze.

La sua storia è stata ben raccontata dallo storico Nicola Vacca in una preziosa pubblicazione dal titolo Di un celebre medico del secolo XVIII che deve considerarsi leccese, edita a Lecce nel 1927 dalla Tipografia La Modernissima. Il Baglivi, nelle sue opere, definì Lecce, chiarissima città della Puglia, la quale fin dalla puerizia mi accolse nel suo seno e mi crebbe, ed a cui debbo tutto me.

Da qui spiccò il volo per approdare da ultimo a Roma, nel 1693, ove divenne giovanissimo archiatra papale sotto la protezione di Papa Innocenzo XII, nato Antonio Pignatelli, che fu Vescovo di Lecce per un brevissimo periodo dal maggio del 1671 al gennaio 1672. Baglivi, non ancora ventottenne, vinse dapprima la cattedra alla Sapienza e più tardi, morto Innocenzo XII, il Papa succedutogli, Clemente II, lo nominò professore di medicina teoretica, insegnando accanto al celebre Malpighi.
Raggiunse la fama internazionale con il libro De praxi medica che gli valse la nomina a membro della Royal Society di Londra e di numerose altre accademie e società scientifiche italiane e straniere. Morì a Roma il 7 giugno 1707, alla giovane età di 39 anni.

Tra gli Spioni si distinse, nel periodo successivo, durante il regno di Carlo III di Spagna, anche la poetessa Isabella Castriota Scanderbeg (1704-1749), donna dotta e gentile che coltivò la poesia in un ambiente gravido di pregiudizi e chiuso, come è facile immaginare, all'emancipazione femminile.
A metà del XVIII secolo l'Accademia ridusse notevolmente la propria vita associativa, probabilmente per la dura lotta tra fazioni che caratterizzò la vita politica in Terra d'Otranto. Occorrerà attendere il 1760 per una prima rigenerazione di quel cenacolo che da allora assumerà il nome di Speculatori e sarà tutelato dal regime borbonico col conferimento del giglio d'oro quale segno distintivo.
Sarà poi affidato a Giuseppe Palmieri, Marchese di Martignano, (1721-1793), personaggio di spicco della vita culturale e politica del tempo, l'incarico di rifondare quell'Accademia. Alla sua insigne figura sarà intitolato dal 1865 il Liceo classico cittadino.
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