Aradeo, quando l'arte diventa cittadinanza attiva

Aradeo, quando l'arte diventa cittadinanza attiva
di Alessandra LUPO
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Mercoledì 24 Luglio 2019, 21:49
Non solo teatro e soprattutto non solo un'arte che mostra se stessa. Ma un percorso che si apre ai luoghi e agli abitanti, facendosi arte dei luoghi. È stato questo il titolo del percorso curato da Marco Petroni, teorico e critico del design oltre che docente all'Accademia di Belle arti di Napoli e al Politecnico di Milano, all'interno della rassegna Teatro dei luoghi, che quest'anno ha portato i Cantieri Teatrali Koreja a confrontarsi nuovamente con Aradeo, scegliendo come centro d'azione Palazzo Grassi.
In parallelo agli eventi teatrali che hanno animato il centro del comune salentino, il percorso artistico si è articolato in due tronconi: il workshop Traguardare a cura di Bianco-Valente, ovvero Giovanna Bianco e Pino Valente che dal 17 luglio ha chiamato a raccolta una trentina di partecipanti da tutta Italia (designer, architetti, sociologi, antropologi) indagando i meccanismi memoriali, percettivi e identitari ma anche e soprattutto relazionali della cittadina. Al termine della residenza sono venuti alla luce 15 progetti di varia natura (parte dei quali immediatamente realizzabili) che sono stati consegnati all'amministrazione comunale, intenzionata a dare seguito al progetto. «Si tratta di piccole comunità che attraversano i luoghi e che lasciano la loro traccia - spiega Marco Petroni-. Il loro sguardo diventa connettivo oltre che collettivo, lavorando su un potenziale sotto traccia che le relazioni e le interazioni spesso riescono a far emergere».
La seconda parte è stata invece affidata a due artisti salentini trapiantati a Firenze: Gabriele Mauro e Stefano Giuri. A entrambi è stato chiesto di confrontarsi con il paesaggio locale, osservandolo come solo chi si allontana dalla propria terra riesce a fare. Da questo sguardo doppio e in qualche modo alienato dalla salentinità sono nati due lavori piuttosto emblematici: Sindrome di Stoccolma, in cui Gabriele Mauro racconta il sequestro (emotivo) turistico della costa attraverso un picchio saldamente aggrappato al tronco di un ombrellone. E poi c'è Parallax di Stefano Giuri, che ha realizzato in cemento la testa di una torretta d'avvistamento della seconda guerra mondiale, una delle tante opere di archeologia militare di cui sono punteggiate tanto le coste italiane quanto quelle albanesi e che nonostante l'innegabile fascino restano a consumarsi sugli arenili (e tra gli ombrelloni) come rovine postapocalittiche. Entrambe le opere, fino al 12 agosto in esposizione nelle sale al primo piano di Palazzo Grassi, sono state prodotte da Koreja, che ha investito sul progetto a più livelli. Anzitutto credendo nell'approccio transdisciplinare del lavoro pubblico. E non solo per il pubblico. «Il sottotesto dell'intero lavoro è provare a ragionare su come l'arte possa essere una pratica di cittadinanza attiva e non solo un abbellimento dello spazio pubblico già dato - spiega Petroni -, il ruolo dell'arte è una negoziazione: per questo architetti, artisti e designer dovrebbero essere coinvolti all'inizio della progettazione e non alla fine».
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