Dep Art Out, nel trullo l’arte in ferro di Ullrich

Dep Art Out, nel trullo l’arte in ferro di Ullrich
di Carmelo CIPRIANI
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Lunedì 29 Agosto 2022, 05:00

Promette un’esperienza unica ed esclusiva Dep Art Gallery di Milano che da meno di un anno ha aperto una sua nuova sede tra le campagne di Ceglie Messapica e Martina Franca. Chiuso lo spazio in via Comelico 40, che riaprirà il primo settembre, dopo la pausa estiva, l’attività prosegue in Puglia, con Dep Art Out, programma espositivo che raccoglie idealmente il testimone. Inserendosi in una tendenza già avviata da tempo che vede sempre più gallerie, artisti e curatori promuovere eventi di arte contemporanea in Valle d’Itria, la galleria lombarda ha acquisito un trullo restaurandolo e trasformandolo in uno scenario d’eccezione per mostre d’arte, portando in regione opere e nomi celebri. Punta sulla bellezza e sulla singolarità del luogo il gallerista Antonio Addamiano, distintosi nel settore per aver sostenuto in modo decisivo il lavoro di artisti del calibro di Mario Nigro, Alberto Biasi, Pino Pinelli e Turi Simeti, coniugando sempre attenzione al farsi dell’arte e necessità di storicizzazione, portando a compimento anche importanti imprese editoriali come il catalogo ragionato in due volumi dell’opera di Turi Simeti. Molfettese d’origine ha scelto la sua Puglia per la sede out della galleria, consapevole della suggestione che poteva nascere dell’abbinamento tra la purezza formale dell’architettura rurale e il rigore dell’arte minimale e concettuale degli anni Sessanta e Settanta, in particolare delle ricerche analitiche e optical, prioritario oggetto d’indagine della sua attività.

Forme in positivo in uno spazio "negativo"

Dopo le mostre lampo dedicate ad Alberto Biasi e Natale Addamiano tra dicembre e gennaio in una sorta di fase zero della nuova sede, la programmazione di Dep Art Out prosegue con la mostra di Wolfram Ullrich, tra gli artisti più rappresentativi della ricerca della galleria, che nel 2018 ha promosso la prima personale italiana dell’artista. Una pittura la sua connotata da un’attitudine scultorea, che si espande nello spazio con un volume concreto, che tratta il colore come superficie, che considera il vuoto come elemento paritetico e sinergico della composizione, da comprimere o espandere. Le sue opere, spesso plurime, si impongono come forme in positivo mentre lo spazio circostante costituisce il negativo che le accoglie e le definisce. L’artista, nato nel 1961 in Germania e formatosi nella temperie della “pittura-oggetto” degli anni Ottanta, per l’occasione presenta una nuova produzione intitolata “Gap”, parola che indica lo spazio vuoto. Inaugurata lo scorso 22 agosto, l’installazione site specific di Ullrich è costituita da tre elementi in ferro, identici nella forma ma diversamente orientati, sospesi su rami e accolti dal trullo, che nella conformazione interna ricorda quella di un’abside triconca. Elementi apparentemente assai pesanti, la cui gravità è però svuotata dagli esili rami che li reggono. Il ferro inoltre è lasciato arrugginire mostrando un’interazione forte con l’ambiente che non si limita più a circondare o attraversare ma arriva a determinare un cambiamento fisico. Il vuoto, o meglio quello che noi percepiamo come tale pur non essendolo, diviene parte attiva nell’opera interagendo con essa fino a trasformarla. È l’omaggio al territorio di Ullrich che, per una volta, devia parzialmente dal rigore della geometria di derivazione costruttivista per lanciarsi in una vera e propria interazione con la natura.

C'è anche l'omaggio a due pionieri della videoarte internazionale, Nam June Paik e Wolf Vostell

Alla mostra di Ullrich la galleria associa per l’occasione e per soli tre giorni, dal 29 al 31 (visibile dalle 19 alle 21) un omaggio a due pionieri della videoarte internazionale, Nam June Paik e Wolf Vostell, a cura di Gianluca Ranzi. 
Esponenti di spicco di Fluxus, vasta e composita rete di artisti accomunati da alcuni tratti comuni come l’anticommercialità e l’intermedialità, Paik e Vostell sono posti in dialogo, anzi in “Video Duet”, mostrando la specificità delle loro singole ricerche.

Del primo, artista coreano scomparso a Miami nel 2006, tra i più influenti della seconda metà del Novecento, è presentato l’omaggio all’amico Joseph Beuys, un filmato manipolato elettronicamente della loro performance tenuta il 2 giugno 1984 alla Sogetsu Hall di Tokyo. Trasferitosi nel 1964 a New York, Paik ha proseguito la sua ricerca mettendo a punto strumenti tecnologici innovativi (Paik/Abe videosynthesizer, progettato nel 1969 con l’ingegnere giapponese S. Abe, che permette di manipolare e trasformare colori e forme), elaborando video e installazioni sempre più complesse, coinvolgendo nelle sue opere artisti e musicisti, non solo Beuys ma anche Cage, Rauschenberg, Kaprow, i protagonisti del Living Theatre ed altri. 

Il video di Ceglie, presente nella videoteca della Fondazione Mudima, che nel 1990 ha ospitato la personale dell’artista coreano e nel 1994 ha curato la sua mostra all’Arengario di Milano, evidenzia l’interazione performativa tra la vocalizzazione sciamanica di Beuys e l’esecuzione di Paik al pianoforte di motivi classici e di canzoni tradizionali giapponesi.

Di Wolf Vostell, tra i promotori dell’happening in Europa, è invece proposta la videoinstallazione “Endogene Depression”, nella versione presentata nel 1980 all’Institute of Contemporary Art di Los Angeles. Nell’opera la presenza dei televisori, inglobati nel cemento ad indicare l’auspicata necessità del silenzio, alcuni dei quali accesi e con il suono e l’immagine manipolati elettronicamente, è associata al girovagare dei tacchini, a sottolineare il contrasto tra l’artificialità della macchina e la verità del mondo naturale. Una denuncia verso l’alienazione e tutti risvolti negativi che da sempre accompagnano la tecnologia.

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