Calandrone: «La scrittura per colmare l'assenza. Il privato? Non esiste, ogni gesto è politico»

La scrittrice a Bari per un incontro in ateneo sui suoi due ultimi libri

Calandrone: «La scrittura per colmare l'assenza. Il privato? Non esiste, ogni gesto è politico»
di Alessandra LUPO
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Lunedì 16 Ottobre 2023, 05:10 - Ultimo aggiornamento: 09:18

Si terrà oggi alle 18, nell’ambito del Corso di Letteratura di genere del Dipartimento di ricerca e innovazione umanistica dell’Università di Bari, nell’Aula Leogrande del Centro Polifunzionale Studenti, l’evento che vede protagonista la poetessa e scrittrice Maria Grazia Calandrone. Un incontro per parlare di assenza, ma anche di letteratura dei margini, di nodi intimi e di storie complesse che diventano patrimonio pubblico, di ferite non ancora rimarginate e ricordi brucianti.
Al centro della conversazione, alla quale parteciperanno Lea Durante docente di Letteratura italiana e Letteratura di genere all’Università degli studi Aldo Moro e il giornalista di Repubblica Antonio Di Giacomo, due dei libri attraverso i quali Maria Grazia Calandrone ha indagato le sue origini e la sua vita, sullo sfondo di un’Italia stanca e contraddittoria: Splendi come vita, incluso tra i dodici candidati al Premio Strega 2021, è la storia del tormentato amore fra una madre adottiva e sua figlia. E l’ultimo Dove non mi hai portata, libro vincitore del Premio Elio Vittorini 2023 e incluso nella cinquina finalista del Premio Strega 2023, che indaga la vera storia dei genitori di Maria Grazia Calandrone. Una indagine sentimentale che inizia dall’arrivo a Roma di Lucia, Giuseppe e la loro figlia di 8 mesi. Sono innamorati, ma non riescono a liberarsi dall’inquietudine che prova chi è braccato. Perché Lucia è fuggita da un marito violento che era stata costretta a sposare, e ha tentato di costruirsi una nuova vita con Giuseppe. Per la legge dell’epoca, però, la donna si è macchiata di gravi reati: relazione adulterina e abbandono del tetto coniugale. Prima di scivolare nelle acque del Tevere in circostanze misteriose, la coppia lascia la bambina su un prato di Villa Borghese, confidando nel fatto che qualcuno si prenderà cura di lei. Più di cinquant’anni dopo quella bambina, a sua volta diventata madre, ricostruisce come una detective, la sequenza dei movimenti di Lucia e Giuseppe, elenca gli oggetti abbandonati dietro di loro, legge articoli di giornale, ricerca sentimenti utili a spiegare il gesto, quel gesto, che le ha permesso di avere un futuro.
Maria Grazia Calandrone, partiamo dal tema di questo incontro, l’assenza. È lei che muove la narrazione?
«Giorgio Caproni diceva che la poesia nasce dalla “res amissa”, come espressione che nasce dalla cosa perduta.Nel mio caso la mega cosa perduta si può immaginare che sia la madre ma in realtà ogni perduta “fa brodo” diciamo cinicamente». 
La nostra esistenza è costellata di perdite insomma...
«Le faccio un esempio: quando vado nelle carceri mi capita che alcune persone mi dicono di avere iniziato a scrivere mentre erano rinchiuse. Perché c’è una distanza da colmare e la poesia in particolare che è una forma ritmica quindi anche memorabile è un modo per scavalcare questa distanza. Se poi questa distanza è così grande come la morte allora c’è tanto da colmare». 
Anche il lockdown fu un periodo di distanza e in qualche modo di lutto collettivo, che da molti venne elaborato attraverso un’ iperproduzione artistica e anche letteraria. 
«Mariangela Gualtieri scrisse nella sua poesia, 9 marzo 2020 “ci dovevamo fermare”. Non che questo ci sia servito a molto perché abbiamo ricominciato peggio di prima. Però è vero che quando c’è un momento di pausa nella corsa perenne in cui siamo coinvolti anche questo diventa una forma di ragionamento sull’interiorità».
L’incontro a Bari verte sui suoi ultimi due libri, entrambi affrontano da una prospettiva differente il tema del rapporto madre-figlia. Si può dire che “Dove non mi hai portata” sia in qualche modo figlio di “Splendi come vita”, ossia che il primo abbia preparato il terreno per il secondo?
«Sì, l’uno è figlio dell’altro in tutti i sensi, perché mia mamma adottiva Consolazione si è anche presa carico di mia mamma biologica Lucia. Io non avevo intenzione di raccontare questa storia, perché la ritenevo molto rischiosa da ogni punto di vista: della retorica, del patetismo, dell’opportunismo. Ma poi mi sono trovata a presentare quel primo libro in televisione e tante persone mi scrissero per fornirmi informazioni su Lucia. Così, io e mia figlia partimmo sulle sue tracce. Lo facemmo a titolo personale».
Poi cosa è successo?
«La storia era talmente ingiusta e anche talmente moderna che andava raccontata. Apparentemente è una storia che appartiene al passato, perché intanto sono state fatte tante conquiste, anche legali. Ma in realtà è una storia anche molto attuale ed è per questo che abbiamo deciso di scrivere questo libro, letteralmente prodotto dal libro precedente. Il che è anche molto commovente. E poi ci sono le tempistiche. Consolazione è stata generosa con me: a sedici anni mi accompagnò a Palata, il paese lucano di Lucia. Ma sapevo che questa indagine l’avrebbe fatta soffrire. Adesso che si trova in un posto dove non può più essere gelosa forse era il tempo giusto per avviare questa ricerca».
Il fatto di consegnare un nodo così intimo al pubblico è una frontiera che richiede anche molto coraggio. Se pensiamo a Michela Murgia: lei è riuscita a farci vivere la sua morte usando il momento più personale di tutti in maniera generosa per lasciare dietro di sé un messaggio ma anche un patrimonio emotivo condiviso.
«Io ho apprezzato enormemente il modo di morire di Michela Murgia, perché ha usato la morte per dire delle cose fondamentali sull’Occidente e anche sulla morte stessa. Questa è una cosa che me l’ha fatta amare ancora più profondamente. Per quanto riguarda la condivisione dell’intimità, io sono di una generazione per la quale il personale è politico. Per cui quello che penso, come mi vesto: è politico. Sono tutti gesti che dicono cose che non sono private. Io non ce l’ho tanto il senso del privato e sono molto infastidita dall’ossessione della privacy».
Il privato non esiste, insomma?
«Appunto, soprattutto in questo momento in cui spiattelliamo sui social i dettagli della nostra vita, in cui i ragazzini si mettono su TikTok come se fosse un palcoscenico. Mi sembra uno dei paradossi della nostra contemporaneità. Per me parlare di intimità ha avuto un riscontro molto affettuoso, nessuno ha frainteso le mie intenzioni, anche perché l’ho fatto molto in là con la mia carriera. Anzi, credo che di fronte al bombardamento di informazioni superficiali ci sia bisogno delle cosiddette “storie vere”. Quindi si va a cercare la verità proprio nella letteratura e nella poesia».
A cosa sta lavorando adesso?
«A un nuovo libro. Riguarda un caso giudiziario clamoroso che mi ha molto colpita».
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