Manara interpreta Eco e "Il nome della rosa". Quenehen e Vives un Corto Maltese "post" Hugo Pratt

Manara interpreta Eco e "Il nome della rosa". Quenehen e Vives un Corto Maltese "post" Hugo Pratt
di Luca BANDIRALI e Stefano CRISTANTE
4 Minuti di Lettura
Martedì 2 Gennaio 2024, 12:33 - Ultimo aggiornamento: 3 Gennaio, 11:55

L'anno che si è appena concluso ha visto in campo fumettistico un gran finale con due giganti della letteratura grafica che danno un significato dinamico allo status di classico: "Il nome della rosa" di Milo Manara e il ritorno di Corto Maltese nella controversa versione post-Hugo Pratt offerta da Martin Quenehen e Bastien Vives.

Milo Manara e Umberto Eco, "Il nome della rosa", La nave di teseo/Oblomov, volume I.

Milo Manara si discosta drasticamente dalla scelta fatta a suo tempo (1986) dal regista Jean-Jacques Annaud, che pure si rivelò assai felice. Manara sostituisce l'icona Sean Connery con un altro astro hollywoodiano, Marlon Brando. Poteva essere una scelta rischiosa, perché Brando porta con sé un senso di turbamento e di trasgressione poco adatto a un monaco. Invece l'arte di Manara riesce a togliere temperatura emotiva a Guglielmo senza diminuirne il guizzo d'ingegno. I capelli di Guglielmo sono grigi e il volto ha una barba rada che rende l'espressione dimessa, ma l'efficacia della sua arte congetturale è intatta, e così il suo fascino. Ma le figure umane non bastano. Pareti lisce e altissime, costruzione elevata su terreno elevato, pianta quadrata, su ciascun angolo una torre a fuoriuscita pentagonale: è soprattutto l'abbazia a sorprendere il lettore, possente e piena di dettagli. Da essa irradia una trama nota a tutti, eppure Manara riesce a presentarcela come nuova e appassionante, sorretta da un'arte monumentale che si riflette nell'incombente gravità dell'abbazia e nella maestosità dello scriptorium, l'ambiente dove i frati-artisti ricopiano creativamente le opere del passato. L'artista veronese prende gusto a riprodurre a sua volta quei potenti repertori, e rivela una straordinaria abilità nell'adattarsi a stili diversi, con cui fa attraversare al lettore gli ambienti quotidiani dell'epoca dedicandoli di volta in volta ai grandi fiamminghi (come nel caso delle scene di preparazione del cibo), ai miniaturisti (facendole emergere dai lavori dello scriptorium), alle punte secche dell'incisione quando racconta la complicata vicenda di Fra' Dolcino o libera la fantasia sul portale della chiesa, su cui il giovane Adso si perde. Un insieme di stili che Manara alterna a vignette più naturalistiche, dove campeggia una straordinaria resa della luce del giorno che entra dalle strette finestre dell'abbazia e dove ardono le luci delle fiamme, dai camini e dalle candele, i cui bagliori sono testimoni muti dei delitti notturni.

Il testo di Eco, adattato da Manara e da Dimitri Moretti, si adagia sulle tavole come un tessuto essenziale, senza fronzoli ma capace di divulgazione. Questa versione de "Il nome della rosa" è la dimostrazione che l'istanza crossmediale dell'opera d'arte è solida e continua, e che un grande artista riesce a rinnovarne lo spirito immergendola nei mondi aumentati dalle immagini a fumetti. Capolavoro del 2023, in attesa del secondo volume.

Hugo Pratt (personaggi), Martin Quenehen (storia), Bastien Vives (disegni), "Corto Maltese. La regina di Babilonia", Cong.

Dopo la scomparsa di Hugo Pratt (nel 1995, a 68 anni), il suo personaggio più noto, Corto Maltese (creato nel 1967), ha continuato a vivere su due piani paralleli. Su un piano insistono le storie realizzate da Juan Díaz Canales e Rubén Pellejero, autori (per ora) di ben quattro volumi che danno un seguito alle avventure classiche di Corto Maltese, collocandosi nella medesima dimensione spazio-temporale, il nostro mondo tra il 1904 e il 1936 (e rispettando filologicamente lo stile prattiano). Su un altro piano ci sono le storie di Martin Quenehen e Bastien Vives, che non alimentano la narrazione canonica ma ne creano una nuova, ambientata in anni recenti (finora 2001-2003) e interpretata da un Corto Maltese giovane e contemporaneo. L'idea è quella di provare a immaginare un eroe romantico nel giorno di oggi, un libero giramondo che prende parte alle vicende della Storia; ma senza riprodurre nulla dell'iconografia prattiana, né dello stile di racconto. Il secondo volume della coppia francese conferma le scelte compiute all'esordio, "Oceano nero": nessuna concessione alla digressione colta, filosofica, fantastica; pochissimi dialoghi; nessuna rimozione della violenza, anche esplicita, che le situazioni rappresentate rendono necessaria. "La regina di Babilonia" è una storia di incontri di amore e disamore, di guerra permanente e di vendetta; i disegni, soprattutto quelli notturni, di Vives valgono il prezzo del volume.

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