Sud Est, stipati sui vagoni sudici per 83 minuti da Lecce a Gallipoli

Sud Est, stipati sui vagoni sudici per 83 minuti da Lecce a Gallipoli
di PAOLA ANCORA
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Sabato 21 Novembre 2015, 01:21 - Ultimo aggiornamento: 4 Novembre, 13:46

Stazione di Lecce, binario sette. Le urla di un dipendente delle Ferrovie Sud Est si accavallano all’annuncio scandito dall’altoparlante di un treno a lunga percorrenza in arrivo: «Venite di quaaaaa», «spostatevi in fondooo». Un gregge di persone smarrite e di valigie pesanti borbotta, si muove, fluido. Da un binario, il numero sette, all’altro, il cinque, già occupato. Ci sono coppie di pensionati di ritorno da Milano e diretti a Gagliano del Capo, qualche militare, moltissimi studenti, pochi turisti. Vanno a Gallipoli.

Avrebbero voluto andarci già domenica, ma hanno dovuto cambiare programma e optare per una passeggiata fra le vie del barocco: i treni Fse, molti dei quali in circolazione dagli anni Sessanta, nei giorni rossi del calendario non si muovono.

Fermi, a “riposo”, dopo quarant’anni e più trascorsi a fare su e giù per la Puglia. «Senta, scusi, ma il treno per Gallipoli è questo? Arriva qui?» domanda una signora con le unghie laccate di rosa all’addetto Fse. «Non lo so, ora che arriva vediamo», la laconica risposta. La stazione come il bar: freddo di tramontana e binari condivisi, invece che caffè, per raccontarsi la vita, riderci su, smorzare l’amarezza. «Pensa – racconta Biagio – che qualche giorno fa ho pagato il biglietto da Gagliano a Gallipoli, ma l’ultimo treno era partito da cinque minuti e sono rimasto lì, fino alla mattina successiva».

E l’attesa si scioglie in una risata collettiva. «Alla peggio – aggiunge Daniela, studentessa di 21 anni – se non arriva questo, prendiamo quello successivo delle 17.52». Un’ora regalata all’incertezza e all’improvvisazione che governa incontrastata le Sud Est, i cui servizi costano ai pugliesi 336mila euro al giorno. Ascoltare le voci di chi aspetta un treno che non sa né quando né dove arriverà corromperebbe anche l’anima più insensibile ai richiami della cosiddetta “antipolitica”. Perché l’attesa fluidifica i pensieri e mette a fuoco le immagini. E su queste carrozze lerce e stracolme è impossibile incrociare il passo di un politico o di un rappresentante delle istituzioni: sono carrette destinate a chi può permettersi il lusso di comprare un biglietto senza sapere se il treno per cui ha pagato arriverà e lo porterà a destinazione.

Sono “moderne” diligenze per ragazzi innamorati, come Francesco, che ogni giorno da Galatina raggiunge Seclì e la sua fidanzata. «Esco da casa sempre all’orario in cui il treno dovrebbe partire. So che arriva in stazione sempre con venti minuti di ritardo» ci dice divertito. Da Galatina raggiunge Nardò e lì cambia treno. «Una volta – racconta - mi è capitato di arrivare fino a Nardò, dopo aver obliterato il biglietto, e di scoprire solo allora che non c’era più la coincidenza per Seclì perché eravamo arrivati troppo tardi». Con Fse si sa quando si parte, non si sa quando e dove si arriva: proprio come in amore.

E allora partiamo, anche stavolta, perché stare fermi proprio non è più possibile, né accettabile, né scusabile. Finalmente il nostro treno arriva al binario. Vecchio, malmesso, cigolante. Fagocita messi di persone stanche di prendere freddo. Dentro, fra i sedili di pelle rattoppata, la temperatura è di poco più tiepida. Un paio di finestrini rotti lasciano entrare l’umidità dell’autunno salentino. Le coppie si stringono in un abbraccio, i ragazzi si tirano su il bavero del giaccone.

Il “via” tonante e prolungato del capotreno è la formula magica che fa aprire e chiudere le porte del convoglio. Si parte con 19 minuti di ritardo: alle 17.10. Al di là del sudiciume dei finestrini e del buio della sera, si confondono le luci delle stazioni di servizio, i primi lampioni accesi, il rosso e l’arancio del tramonto. San Cesario, Soleto, Galatina: il contorno indistinto delle case e dei palazzi all’orizzonte cancella ogni confine, fra un paese e un altro, fra un pensiero e l’altro. Le carrozze si svuotano.

Alle 17.51 siamo a Nardò. Uno, due, tre, cinque passeggeri in tutto. La stazione è un punto di luce perduto nel nulla, a due chilometri dal centro abitato. Il treno è diventato la culla per due operai: poggiata al finestrino, la fatica trova requie nel sonno. E poi si arriva ad Alezio. Qui la stazione, con le sue mattonelle rosso di Pompei, è una promessa. Per Gallipoli, ormai vicina. E per un futuro in cui questi luoghi possano, recuperati, accogliere centinaia di turisti, di ciclisti ed escursionisti, offrendo servizi e accoglienza.

“Gallipoli”: alle 18.26 riusciamo a leggere, increduli, il nome della città scritto col gesso su una lavagna, proprio all’ingresso della stazione. Il tempo di tirare il fiato e alle 19 i motori sono di nuovo accesi. Cinque, dieci minuti. Il tanfo di gasolio invade la piccola sala d’aspetto. Arriva fino a piazza Giacomo Matteotti e all’inizio di viale Bovio, che lì di fronte nasce e si srotola verso il centro e le strade dello shopping. L’aria diventa irrespirabile. La nausea prende il sopravvento. Meglio il freddo, meglio fuori. Meglio non pensare all’elettrificazione della linea, che costerebbe 120 milioni di euro da Martina Franca a Leuca. Risorse da recuperare «fra i risparmi e le spese inefficienti del capitolo “Grandi opere” previsto nel decreto “Sblocca Italia”», recitava a ottobre del 2014 un emendamento al decreto firmato dal Pd. Quei soldi, però, non sono mai arrivati a destinazione.

Alle 19.20 il convoglio riparte. Pochi minuti e un controllore Fse nota la macchina fotografica. «Qui foto non se ne fanno - ci intima – è proibito dal regolamento». E quale regolamento può impedire a un cittadino con regolare biglietto di documentare lo stato in cui versano questi treni? Quale legge vieta di fotografare il degrado finanziato dalle casse pubbliche e propinato a pendolari e turisti al prezzo di 4 euro e venti centesimi a corsa? «Questo a lei non interessa – ribatte, stizzito, il dipendente – Per fare le foto deve avere l’autorizzazione dell’azienda», il cui socio unico – è bene ricordarlo – è il ministero dei Trasporti. Alle 19.42 siamo a Nardò. Alle 20.18 a Zollino: il buio si accende con i riflettori di un campo da calcio, vuoto, che il treno costeggia prendendo velocità. Pochi minuti, Sternatia: stazione chiusa e luci spente. E alle 20.45, finalmente, Lecce. I pochi passeggeri scendono alla spicciolata. Qualcuno si dà appuntamento al giorno dopo. Il sottopasso, l’atrio della stazione ripieno di abbracci e lacrime e attese. E poi una voce, dall’altoparlante: «In arrivo al binario cinque il treno proveniente da Gallipoli». Ripetuto una, due, tre volte. Fuori tempo, come sempre.

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